Il Welfare nel Biellese. Assistenza, servizi e solidarietà dal Medioevo al XX secolo
- Il Welfare nel Biellese. Assistenza, servizi e solidarietà dal Medioevo al XX secolo
- Il welfare a Sordevolo
- Ambrosetti e Vercellone, benefattori sordevolesi
- Dal 1883 i Vercellone assicurano per gli infortuni sul lavoro
- Una sottoscrizione per le vittime di un incendio
- I libretti di risparmio postale agli operai di Sordevolo
- Serafino Vercellone e il sostegno alla Scuola Professionale
- I Vercellone e le SOMS di Sordevolo
- Il welfare a Sordevolo
- I documenti del welfare negli archivi del DocBi
- La Cooperativa di Trivero Fila e Giardino
- Filantropia ad ampio raggio dell’Unione Industriale Biellese
- Una biblioteca e una scuola professionale: il welfare secondo i Giletti di Ponzone
- Manifattura Lane di Borgosesia: l’assistenza ai lavoratori
- L’Ospizio degli Esposti di Biella: un archivio di solidarietà all’infanzia
- Welfare a Coggiola: il caso del Lanificio Fila
- Il Santuario di Oropa: accoglienza e beneficenza
- La filantropia di Alfonso La Marmora
- Maria Luisa Ferrero della Marmora e le artiere del Piazzo
- Camera del Lavoro di Biella: welfare non solo nel Biellese
- La FAO, il riso e la Camera di Commercio di Vercelli
- Welfare culturale: la Biblioteca Civica di Biella secondo Quintino Sella
- La Scuola Statale di Avviamento Professionale di Trivero: un esempio di welfare “misto”
«Allo scopo di favorire l’allattamento materno ed assicurare la protezione igienica del figlio dell’operaia durante le ore di lavoro della madre» la legge per la protezione della maternità e infanzia del 1926 prevedeva che in ogni stabilimento in cui fossero impiegate almeno 50 donne di età superiore ai 15 anni, venisse istituito un asilo nido per i bambini fino a tre anni con il concorso degli industriali, delle operaie e dell’Opera Nazionale Maternità e Infanzia ONMI.
Era inoltre stabilito che in ogni centro industriale nascesse un asilo nido affinché le madri lavoratrici potessero lasciarvi i bambini e recarvisi agevolmente per l’allattamento durante l’orario di lavoro.
Nel 1929 si avviava il progetto di istituire un asilo nido a Trivero, annesso all’asilo Emma e Antonio Cerino Zegna («Il Popolo Biellese», 16 dicembre 1929, p. 3), nel 1932 lo si annunciava a Tollegno presso l’Opera Pia Tamaroglio («Il Popolo Biellese», 18 febbraio 1932, p. 3), nel 1935 apriva a Camandona grazie alla generosità di Clelia Ferrua («Il Popolo Biellese») e il podestà Serralunga lo aveva in programma a Biella per il 1936 («Il Popolo Biellese», 27 dicembre 1935, p. 4).
Spesso collegati ad asili di infanzia nati da benefattori privati, gli asili nido nel Biellese e nel resto del paese risultavano insufficienti anche dopo l’entrata in vigore della Legge 860 del 26 agosto 1950 sulla “Tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri”, proposta da Teresa Noce (Pci) e sostenuta da Maria Federici (Dc). La nuova legge introduceva una serie di diritti per la donna e di obblighi per il datore di lavoro, quali l’organizzazione della camera di allattamento nei locali adiacenti lo stabilimento quando vi fossero almeno trenta donne coniugate fra le dipendenti oppure la costituzione di un asilo nido, aziendale o interaziendale, in condivisione con altre imprese della zona.
Nel 1953 la FIOT Federazione Italiana Operai Tessili guidata dalla stessa Teresa Noce che ne era segretaria generale dal 1947, chiedeva di migliorare il Regolamento della legge del 1950. Il Biellese, che la Noce conosceva bene proprio per il suo ruolo nel sindacato tessile, rappresentava uno dei territori più importanti nei quali portare avanti la rivendicazione per via dell’elevato tasso di occupazione femminile.
In preparazione della prima Conferenza nazionale della donna lavoratrice (Firenze, 23-24 gennaio 1954) anche la Fiot di Biella sensibilizzava le donne sulla necessità di migliorare il Regolamento per l’attuazione della legge sulla maternità perché questo sorvolava sull’istituzione degli asili nido nelle aziende e nei centri industriali.
A questo scopo inviava alla Fiot nazionale una relazione della visita all’asilo nido interaziendale di Valle Mosso costruito ed attrezzato dall’Unione Industriali della zona e affidato a religiose diplomate; poteva ospitare fino a 100 bambini, di cui 16 lattanti, che potevano aumentare a 30 in caso di necessità. Era aperto a tutti i bambini del paese dietro il pagamento di una modesta quota di iscrizione; tuttavia emergeva che le madri stesse erano restie ad affidare i figli a estranei, preferendo assentarsi dal lavoro. Era questo motivo di preoccupazione per il sindacato e per l’Unione Donne Italiane, che evidenziavano la necessità di avviare una forte campagna di sensibilizzazione fra le lavoratrici per dimostrare l’utilità del servizio.
Nel 1963 il documento preparatorio al convegno «Il lavoro della donna, l’assistenza e l’educazione all’infanzia» (Cossato, 27 gennaio 1963) cita l’esistenza dell’asilo nido aziendale a Tollegno oltre a quello citato di Valle Mosso e tre nidi dell’OMNI a Biella e analizza con attenzione la situazione biellese.
A fine anno Carmen Fabbris, attivissima sulla tematica nel corso della sua intera carriera politica e sindacale, sottoponeva la questione al sindaco di Biella, proponendo una serie di soluzioni per migliorare la situazione degli asili di Biella Centro e Vernato gestiti direttamente dall’OMNI.
L’anno successivo, l’indagine condotta dal sindacato in tutti i più grandi lanifici del Biellese dimostrava che non erano mai stati organizzati asili nido e che solo il Lanificio Bertotto di Biella aveva la camera di allattamento, peraltro mai utilizzata.
Anche la sezione biellese dell’UDI elaborava proposte e documenti, mentre l’ONMI aveva sempre più difficoltà a garantire il servizio.
La necessità di dotare il territorio di un adeguato numero di servizi per le madri lavoratrici era evidente e condiviso da tutti gli attori e le forze politiche: su 800 bambini sotto i tre anni residenti nel Biellese solo 250 potevano contare sull’asilo nido.
Nell’ottobre 1966 il Comune di Biella organizzò un convegno per analizzare la situazione esistente, documentata grazie a un’indagine presso tutti i comuni del circondario, e programmare la nascita di servizi adeguati attraverso l’istituzione di un comitato di studio.
La fotografia di quell’anno restituiva l’esistenza di 9 camere di allattamento, in prevalenza poco o per nulla utilizzate e di un solo asilo nido presso il cotonificio Poma di Miagliano.
La diffusione e l’estensione della campagna di sensibilizzazione alla fine degli anni ‘60 raggiunse l’obiettivo di una nuova organizzazione con la legge 1.044 del 1971, che segnò la nascita degli asili nido a gestione pubblica e il progressivo smantellamento dell’ONMI, e con la legge regionale del 1973 che ne disciplinava la costruzione sul territorio piemontese.