Il Welfare nel Biellese. Assistenza, servizi e solidarietà dal Medioevo al XX secolo
- Il Welfare nel Biellese. Assistenza, servizi e solidarietà dal Medioevo al XX secolo
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- Dal 1883 i Vercellone assicurano per gli infortuni sul lavoro
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- I libretti di risparmio postale agli operai di Sordevolo
- Serafino Vercellone e il sostegno alla Scuola Professionale
- I Vercellone e le SOMS di Sordevolo
- Il welfare a Sordevolo
- I documenti del welfare negli archivi del DocBi
- La Cooperativa di Trivero Fila e Giardino
- Filantropia ad ampio raggio dell’Unione Industriale Biellese
- Una biblioteca e una scuola professionale: il welfare secondo i Giletti di Ponzone
- Manifattura Lane di Borgosesia: l’assistenza ai lavoratori
- L’Ospizio degli Esposti di Biella: un archivio di solidarietà all’infanzia
- Welfare a Coggiola: il caso del Lanificio Fila
- Il Santuario di Oropa: accoglienza e beneficenza
- La filantropia di Alfonso La Marmora
- Maria Luisa Ferrero della Marmora e le artiere del Piazzo
- Camera del Lavoro di Biella: welfare non solo nel Biellese
- La FAO, il riso e la Camera di Commercio di Vercelli
- Welfare culturale: la Biblioteca Civica di Biella secondo Quintino Sella
- La Scuola Statale di Avviamento Professionale di Trivero: un esempio di welfare “misto”
[di Marcello Vaudano, “Bollettino DocBi 2012 Studi e ricerche sull’industria biellese volume 3°”]
Sulla scia delle nuove acquisizioni di macchinari e della rimodellata conformazione dei reparti successive al ripristino della produzione nei locali devastati dall’alluvione del 27 giugno 1927 – quella che il giornale fascista annunciava come primo esempio biellese di «organizzazione scientifica del lavoro» (1) dall’autunno 1928 all’interno del lanificio Giletti di Ponzone fu attiva una scuola professionale. L’aveva fortemente voluta il cavalier Oreste Giletti, che da qualche anno aveva assunto le redini della grande azienda creata dal padre Anselmo, cui la morte sopraggiunta nel marzo del 1927 aveva almeno risparmiato la drammatica esperienza dell’alluvione. La ditta, un lanificio a ciclo completo che occupava più di mille operai, aveva significato molto, se non tutto, nel processo di urbanizzazione di una valle fino a pochi anni prima semideserta. Attorno allo stabilimento in continua espansione Anselmo e Oreste Giletti, da imprenditori illuminati quali erano, avevano costruito case operaie, eleganti palazzine per i dirigenti, il convitto, i grandi caseggiati che ospitavano la cooperativa, il forno, il ristorante, il Circolo Dopolavoro, il teatro, la sede delle associazioni sportive e ricreative e, fiore all’occhiello, l’Asilo infantile e le Scuole elementari. Proprio per il grande impegno profuso nel finanziare e promuovere l’istruzione infantile e primaria, nel 1924 il Ministro della Pubblica Istruzione conferì a Oreste Giletti il Diploma di Benemerenza di prima classe, con facoltà di fregiarsi di medaglia d’oro (2).
Nell’estate 1928 lo stesso Oreste Giletti illustrò i motivi della nuova iniziativa nell’ambito dell’istruzione con una lettera circolare a firma «Il vostro Principale» che venne distribuita nei reparti: «Nel corso degli studi che stiamo facendo per migliorare la nostra organizzazione di lavoro, si è constatata una difficoltà derivante dall’insufficiente grado generale d’istruzione. Per rimediare a questa deficienza ho deciso di istituire una scuola pratica interna» (3). Lo scopo, pur succintamente definito, era dunque chiaro: preparare forza lavoro meglio istruita per renderla più efficiente e professionale, capace di sostenere le sfide che le nuove forme di produzione comportavano. Da quel momento in poi, aggiungeva l’imprenditore, gli avanzamenti di carriera all’interno del lanificio sarebbero stati possibili solo per coloro che avessero frequentato con profitto i corsi interni, da tenersi in perfetto stile dell’epoca: «Avviso che ho disposto che la scuola si svolga con la maggior disciplina, come lo stile del Regime Fascista impone, poiché solo da questa disciplina potranno i migliori trarre i maggiori profitti, nonché la formazione ed il perfezionamento del proprio carattere, base essenziale, unitamente al sapere, per il progresso generale e condizione prima per essere anche un buon padre di famiglia» (4). Pubblicato integralmente su «Il Popolo Biellese» (5), il programma riceveva il plauso convinto anche di Vincenzo Ormezzano che, dalle pagine de «Il Biellese», dopo aver elogiato l’intelligenza e la lungimiranza di Oreste Giletti, si raccomandava che l’insegnamento fosse impartito in maniera semplice e diretta: «Questo intendo dire: che il pane deve sempre essere adatto ai denti che debbono masticarlo: non fatto di cateti, d’ipotenusa, di radice caudica, di logaritmi, di a + b = c, e via dicendo, buono per chi venne allevato ai “grissini” dell’ingegneria, ai calcoli delle cannonate contro la luna, al tempo necessario per arrivare dalla terra ad altro pianeta, all’aumento di peso che subirebbe durante il tragitto il cappello di Bardicane, ecc. ecc.» (6).
Se la nuova organizzazione della produzione secondo criteri efficientistici e razionali richiedeva maestranze che fossero al contempo più acculturate e più preparate tecnicamente, il tema della necessità di fornire ai giovani biellesi un supporto educativo per metterli in grado di essere “vincenti” sul mercato del lavoro non era certo una scoperta di quegli anni. Il Biellese, provincia che al momento dell’unificazione nazionale risultò ai primissimi posti in quanto ad alfabetizzazione grazie all’intenso e capillare fiorire di scuole primarie nei decenni precedenti (7), può vantare in questo campo esperienze pioneristiche che risalgono alla prima metà del XIX secolo e poi si diffusero sia territorialmente che in ambiti di mestieri differenti nei decenni successivi.
La madre di tutte le iniziative di istruzione professionale è, come è noto, la Scuola di arti e mestieri della “Società per l’avanzamento delle arti, dei mestieri e dell’agricoltura” fondata nel 1838 sotto l’impulso e il patrocinio di monsignor Giovanni Pietro Losana e che nel 1869 Quintino Sella pilotò a trasformarsi nella prima Regia Scuola Professionale d’Italia, poi diventata Regio Istituto Industriale (8). Altre scuole per operai e artigiani erano sorte negli anni Sessanta a Mosso grazie al lascito di Pietro Sella, cui furono intitolate,9 a Campiglia Cervo e a Rosazza (10), dove i corsi erano orientati a fornire le nozioni basilari per l’esercizio delle tradizionali professioni edili del territorio e perciò si tenevano esclusivamente nei mesi invernali, quando gli emigranti stagionali rientravano alle loro case. Nei decenni di fine Ottocento anche le Società Operaie di Mutuo Soccorso risposero al bisogno di istruzione del proletariato mettendo a disposizione dei soci le biblioteche circolanti e attivando corsi serali o festivi di istruzione primaria (leggere, scrivere e far di conto) ma in qualche caso anche professionale, come in Valle Elvo e a Piedicavallo (11).
Una novità rilevante nel panorama biellese fu introdotta nel 1911 da Felice Piacenza con la costruzione e l’apertura del Lanificio Scuola in piazza Alessandro Lamarmora a Biella. Nel discorso tenuto in occasione della posa della prima pietra, l’industriale pollonese riconosceva l’enorme valore che le scuole tecniche, e in particolar modo a Biella il Regio Istituto industriale, avevano assunto nella preparazione dei quadri e dei dirigenti, ma, aggiungeva, «l’esperienza insegnò subito che l’insegnamento puramente teorico è insufficiente a formare un completo industriale, perché il giovane, che licenziato dalle Scuole, entri nelle fabbriche, colla sola scorta della teoria, riesce poco utile nei primi anni del suo esercizio, dovendo imparare faticosamente la pratica, perdendo per sé e per chi lo impiega lunghi anni di carriera» (12). Occorreva che, come nelle nazioni più avanzate, prima tra tutte quella Germania che Piacenza aveva visitato l’anno prima con i propri figli ricavandone una grande impressione, sorgessero opifici-scuola attigui alle grandi industrie dei diversi settori. L’iniziativa avrebbe dovuto assumersela il Governo, ma anche i privati non potevano starsene a guardare, perché la situazione del mercato mondiale imponeva di agire: «Non dimentichiamo quale asprissima lotta avremo a sostenere qualora venisse a cadere la fragile barriera delle dogane, che ora ci difende dai nostri formidabili avversari. Pensiamo ad armarci delle stesse armi che li rendono forti. Diffondiamo ampiamente l’istruzione industriale imitando i loro metodi e la loro larghezza nell’applicarli» (13). L’ampia introduzione che l’anonimo estensore del volumetto pubblicato in occasione dell’apertura dei corsi del Lanificio Scuola Piacenza faceva prima di descrivere dettagliatamente tanto l’edificio quanto i locali, le macchine e le modalità di gestione, ribadiva gli stessi concetti: restituiva a Cesare quel che è di Cesare, lodando il ruolo dell’Istituto Tecnico, ma insisteva sulla necessità di dare alla preparazione degli allievi una forte impronta sperimentale e pratica che soltanto scuole professionali integrate con la produzione potevano garantire (14): «Le sole iniziative locali hanno supplito qua e là: esempi meritori sono la Scuola di conceria in Torino, quella di orologeria in Milano» (15). Ora il Lanificio Scuola Piacenza si proponeva di fare la sua parte per l’industria tessile biellese.
A testimonianza che la questione era stata assunta come cruciale dal mondo imprenditoriale biellese, nel 1919, alla conclusione della Grande Guerra, un gruppo di imprenditori («quasi esclusivamente industriali tessili, pochi meccanici e nessun costruttore», nota Albino Machetto) (16) su impulso di Oreste Rivetti diede vita all’“Associazione per l’incremento dell’istruzione professionale nel Biellese”, che si assunse il compito di «sovvenzionare e mettere nello stato di massima efficienza gli Istituti Industriali e Commerciali di Biella e aiutare le altre iniziative sul campo dell’istruzione professionale» (17).
Pochi anni prima dell’iniziativa di Giletti a Ponzone, un altro imprenditore mecenate dell’istruzione biellese aveva fondato una scuola. Si trattava di Leone Garbaccio che a Mosso aveva dato vita alla Scuola professionale post-elementare intitolata al padre Alberto, nel cui Statuto si leggeva che essa veniva istituita per «promuovere e favorire l’elevazione morale e materiale delle classi popolari in genere e specialmente delle classi operaie, e nello stesso tempo contribuire al miglioramento ed al progresso delle arti e delle industrie, fonte di vita e di prosperità per il nostro paese» (18). Annunciata già nell’ottobre 1925 sulle pagine del bollettino parrocchiale «Il Buon Seme», la scuola tenne i suoi corsi serali nei locali del “Pietro Sella” a partire dal 1927 e, seppur tra alti e bassi, rimase attiva sino alla metà degli anni Sessanta del secolo scorso (19).
Fuori dal contesto puramente industriale, anche se contiguo ad esso, chi continuò a battere il chiodo della necessità di istruire professionalmente la manodopera e nel contempo educarla ai valori etici della responsabilità, dell’impegno e del sacrificio, fu in quegli anni Vincenzo Ormezzano (20). A prescindere dagli articoli scritti per i giornali e da tutti gli incisi che sul tema Ormezzano inseriva nei suoi libri, ovunque e comunque, sono espressamente mirate allo scopo di incrementare la cultura professionale operaia due precise iniziative. La prima è la fondazione nel 1920 de «L’Operaio – Rivista d’Istruzione tecnica popolare», quindicinale che dirigerà fino al 31 marzo 1925 e che continuerà a vivere fino al 1942 sotto la direzione di Alberto Menghini (21).
Nell’editoriale che apre il primo numero, Ormezzano focalizza con precisione il convincimento su cui l’operazione si regge, ossia che l’istruzione, unita alla laboriosità, all’onestà e al rispetto dei propri doveri, può garantire l’elevazione sociale oltre che morale di chi viene “dal basso”. La rivista, aggiunge poi, sarà scritta per tutti gli operai e i tecnici di ogni specialità e grado (al contrario di altre pubblicazioni, come il «Bollettino della laniera», che si rivolgono solo al livello direttivo e imprenditoriale), tratterà di argomenti tecnici nei termini che sono propri della “gente del mestiere”, avrà sempre più pagine scritte dagli stessi operai che ne sono i fruitori e infine starà ben lontano dalla politica (22). In perfetta sintonia con la premessa, la rivista si comporrà sempre di articoli di natura tecnica, per lo più legati alla produzione tessile, ma vi troveranno spazio anche notizie storiche, recensioni, rubriche sulla sicurezza e l’igiene nell’industria, considerazioni morali e di politica industriale e i quesiti tecnici rivolti ai lettori, per la cui soluzione si garantiva la pubblicazione sul numero successivo e premi in denaro o in libri. Scriveva Felice Trossi: «Chi trovasi in basso può salire in diverse maniere: colla buona volontà, col lavoro, coll’istruzione tecnica e professionale; soprattutto coll’istruzione, la quale, oltre facilitare l’elevamento materiale, giova intellettualmente e dà a chi la possiede soddisfazioni morali vietate all’ignorante seppur è carico di denaro. Chi tende ad aumentare l’istruzione professionale delle masse è quindi altamente benemerito della Società. “L’Operaio”, mirando a tal fine ed esplicando l’opera sua con criteri appropriati e parole chiare, alla portata di tutti, dette in forma piacevole che non stanca il lettore, merita lode ed appoggio sinceri» (23).
La seconda iniziativa di Vincenzo Ormezzano non ebbe lo stesso successo, e gli provocò una profonda disillusione. A partire dal dicembre 1925 cercò infatti di dar vita ad un premio intitolato a Pietro Sella da destinarsi agli inventori e perfezionatori di macchinario laniero. Versata una prima quota per aprire la sottoscrizione – che egli si illudeva avrebbe raccolto in poco tempo un capitale ragguardevole da cui attingere annualmente le circa ventimila lire stimate sufficienti a premiare operai e tecnici meritevoli – si rivolse al mondo imprenditoriale senza però ottenere quel sostegno che si aspettava. Amareggiato e “tradito”, nel 1932 dovrà arrendersi: «Non sono riuscito ad avere in Italia oblazioni importanti d’industriali. Dirò meglio: né importanti, né medie, né minime nel Biellese; due dei fratelli Mosterts per lire 50 complessive in Lombardia. L’oblazione più generosa della serie bisogna cercarla lontano, in America, nella persona del compianto Erminio Forno che da La Paz (Bolivia) in aprile del 1927 mi rimise 316 lire» (24).
Torniamo alla Scuola professionale interna al lanificio annunciata da Oreste Giletti con la lettera circolare diffusa nei reparti dello stabilimento. Nella stessa comunicazione venivano indicati i nomi di coloro che sarebbero stati i pilastri didattici della scuola: «Per il sicuro risultato dell’insegnamento ho voluto appositamente assumere due insegnanti specializzati e cioè il Sig. Prof. Rag. Giuseppe Mello (che avrà la Direzione della Scuola) proveniente dalla rinomata scuola “A. Bernocchi” di Legnano, ove fu per più anni assistente a fianco del valente a appassionato Direttore di quest’istituto: Cav. Uff. Giovanni Strobino (oriundo Biellese, conosciuto in Italia ed all’estero per le sue non comuni doti che fanno di lui uno dei primi professori ed autori nella sua specialità). Il secondo è il Sig. Maestro Filippo Alcioni che già da oltre 10 anni ha insegnato nel nostro Biellese» (25). Se quest’ultimo sarebbe rimasto a Ponzone solo per un anno, lasciando comunque un ottimo ricordo in tutti, il ragionier Mello costituì l’elemento strutturale su cui poggiò l’iniziativa per i suoi primi tre anni di vita, e tanto si intrecciò il destino dell’insegnante-direttore con quello della scuola che essa non fu più la stessa dopo la sua partenza nella primavera del 1931.
Probabilmente consigliato a Oreste Giletti da Vincenzo Ormezzano, che ben conosceva e apprezzava Giovanni Strobino (26), Giuseppe Mello era nato a Vertova (Bergamo) nel 1901 da una famiglia originaria di Castagnea, il cui più illustre esponente era stato Bartolomeo Felice Dionisio Mello, combattente nelle guerre risorgimentali e poi, con il grado di tenente colonnello, comandante della Scuola Militare di fanteria di Modena (27). Il padre era stato a lungo direttore di un lanificio e aveva poi impiantato una propria azienda ad Arsago Seprio, per cui il figlio Giuseppe, al di là della sua formazione commerciale, aveva sviluppato un interesse e una competenza marcatamente tecniche, soprattutto in filatura e tessitura, che gli permisero poi di entrare come insegnante nella scuola professionale “Antonio Bernocchi” di Legnano. Ora, sulla scorta dell’esperienza maturata a Legnano, arrivava a Ponzone con il compito di impostare e dirigere la Scuola professionale e comandare il Corpo dei Pompieri volontari, due creature del cavalier Giletti (28).
I due corsi – quello di avviamento al lavoro e quello di perfezionamento, entrambi riservati ai dipendenti e ai loro figli suddivisi nei due livelli semplicemente in base all’età minore o maggiore di vent’anni – partirono come previsto il 5 settembre 1928 e si tennero nei locali attigui alla cooperativa Giletti. Il corso di avviamento al lavoro aveva lo scopo di dare una preparazione generica al lavoro industriale, mentre il più avanzato corso di perfezionamento si proponeva di integrare le capacità di lavoro dell’apprendista e dell’operaio e facilitare la possibilità che egli divenisse un assistente o un capo reparto. Per fare in modo che tutti gli operai, indipendentemente dai turni di lavoro, potessero frequentare la scuola, le lezioni si tenevano dalle ore 10 alle ore 12, dalle 15 alle 17 e dalle 18 alle 19. Gli allievi dei turni potevano beneficiare presso il Circolo Dopolavoro di una refezione di minestra a prezzo di favore (lire 0,50). Le materie di insegnamento per il corso di avviamento erano italiano, matematica, disegno geometrico, tessitura, esercitazioni di filatura, mentre per gli allievi del corso di perfezionamento l’orario settimanale comprendeva italiano, matematica, disegno geometrico, tessitura, meccanica, esercitazioni di filatura, tecnologia del telaio, scampionatura, lavorazione fibre tessili. Agli iscritti veniva chiesto un versamento mensile di lire 10, a titolo di contribuzione per l’acquisto di materiale scolastico e deposito di garanzia per eventuali guasti, ma a coloro che avessero frequentato regolarmente il corso a fine anno sarebbe stato rimborsato l’ammontare di tutte le quote mensili, previa deduzione dell’importo del materiale scolastico consegnato o dei danni fatti. Nel manifesto che campeggiava sui muri di Ponzone e all’interno del lanificio per sollecitare l’iscrizione erano poi anche indicati i nomi degli insegnanti. Oltre ai già citati Mello e Alcioni – unici ad essere espressamente ingaggiati dalla proprietà per la scuola – avrebbero tenuto lezione gli ingegneri Giuseppe Pellò e Germinal Giraudi, i ragionieri Mario Barlassina e Vittorio Peretti, tutti stimati dipendenti del lanificio, cui si chiedeva di aggiungere ai loro impegni aziendali quelli dell’insegnamento.
Le lezioni proseguirono regolari fino al giugno successivo, di tanto in tanto alternate con visite ai reparti per vedere all’opera macchine e maestranze e, più raramente, da gite istruttive, che in quel primo anno di attività della scuola furono ben tre. Il 27 marzo un nutrito gruppo di operai-studenti venne accompagnato a Novara dagli insegnanti e dallo stesso Oreste Giletti a visitare il grande cotonificio Rotondi e la fabbrica di alternatori Scotti & Brioschi. La domenica 14 aprile, con partenza in autobus da Ponzone alle 5 del mattino e rientro verso la mezzanotte, il gruppo fu portato a visitare la Fiera campionaria di Milano. Infine, a lezioni già terminate e con gli esami in corso, un gruppo di una settantina di persone si recò domenica 9 giugno a Torino per visitare gli stabilimenti alimentari Unica. Il viaggio, come i precedenti offerto interamente dalla ditta agli allievi meritevoli, fu fatto in treno, in vetture riservate sulle linee Vallemosso-Biella, Biella-Torino e Torino-Rivoli. «Nel pomeriggio poi, buona parte dei gitanti assisteva alla grandiosa processione per la traslazione della salma del Beato Don Bosco, mentre i rimanenti visitarono i monumenti della città di Torino» (29).
Nella relazione finale al Consiglio direttivo delle scuole private del lanificio (30), Giuseppe Mello non nascose la propria soddisfazione per l’esito del primo anno. Gli iscritti ai corsi erano stati complessivamente 113 (circa il 10% dei dipendenti del lanificio), di cui 53 all’avviamento e 60 al perfezionamento. La frequenza era stata abbastanza regolare, a testimonianza della serietà con cui gli operai-studenti avevano preso la cosa: agli esami erano arrivati in 71 (40 del primo corso e 31 del secondo) e di questi 58 avevano ottenuto la promozione, mentre solo 13 erano stati rimandati all’esame di riparazione di ottobre. Se si considera che degli abbandoni 10 erano dovuti a trasferimenti per lavoro (31), la valutazione risultava ancor più incoraggiante. Le ore di insegnamento settimanali per il corso di avviamento erano state due di italiano e disegno ornato, una di aritmetica, geometria, scienze, tessitura, scampionatura, disegno geometrico. Il corso di perfezionamento aveva avuto una struttura a tre moduli, distinguendosi il gruppo dei meccanici da quello dei filatori e dei tessitori: a una base comune di 2 ore di italiano, di disegno e di matematica i primi avevano aggiunto disegno macchine e meccanica, i tessitori completavano con tessitura, tecnologia tessile e scampionatura, mentre i filatori seguivano lezioni di preparazione del filato, di filatura vera e propria e di scampionatura.
A chiusura del bilancio del primo anno il direttore non taceva i problemi e le prospettive ancora da definire: per l’anno successivo sarebbe stato possibile allestire il laboratorio di cui egli stesso aveva presentato un’idea di massima? come sistemare definitivamente la biblioteca? quali quote d’iscrizione si sarebbero fissate per l’anno seguente? si doveva permettere l’iscrizione ai corsi anche a operai esterni al lanificio? come tenere viva l’attenzione della popolazione sulla scuola anche nel periodo estivo?
Alcuni degli interrogativi avrebbero trovato risposta nell’immediato, come ad esempio la questione biblioteca e, prima ancora, l’attività estiva. Già durante l’anno erano state sporadicamente organizzate conferenze aperte al pubblico, come quella sull’Inferno dantesco tenuta dallo stesso Giuseppe Mello (32), ma per la fine dell’estate, tra agosto e settembre, la Scuola professionale organizzò addirittura un ciclo di “Lezioni di cultura popolare” aperte a tutta la popolazione. I corsi, della durata di non più di 4 lezioni ciascuno, «avranno carattere pratico e di propaganda culturale e serviranno a dare molte utili nozioni di cui sovente si sente la lacuna» (33). Vennero svolti nelle aule della scuola professionale nelle ore serali e riguardarono temi disparati: l’ingegner Pellò trattò “Il motore a scoppio”, l’ingegner Giraudi spiegò il funzionamento del regolo calcolatore, “La macchina fotografica e la fotografia” furono l’oggetto delle lezioni di Giuseppe Mello, di radiografia si occupò il signor Strocchio e di lavoro il sig. Bozzola. Ma il corso che riscosse il maggior successo di pubblico fu sicuramente quello sui soccorsi d’urgenza del dottor Taraboletti, apprezzato e partecipato al punto da indurre Mello ad organizzare un’ultima lezione sui soccorsi da portare a chi venisse colpito da attacchi di cuore per il 12 settembre, in aggiunta a quelle previste e già svolte (34).
Da lì a qualche giorno quel primo anno di vita della Scuola professionale si sarebbe concluso in maniera trionfale. La sera del 20 settembre, in un Teatro Giletti gremito e prima di premiare gli allievi che si erano distinti durante l’anno, un comprensibilmente orgoglioso Giuseppe Mello relazionò sinteticamente sull’attività della Scuola, sottolineando come l’istruzione professionale in Italia stesse conoscendo un periodo particolarmente fortunato, anche grazie alle attenzioni che le autorità le riservavano. Citò Arnaldo Mussolini («Da poche che erano pioniere, dovranno diventar legione – ha scritto Arnaldo Mussolini – [Occorre] dar largo posto alle scuole professionali capaci di [preparare] maestranze che nel lavoro manuale trovino una applicazione gioconda di energia e non la pena secolare ed umiliante della fatica senza nome») e rivolgendosi agli operai-studenti rese merito a chi aveva voluto e finanziato la scuola: «Siatene fieri, ritornate alle vostre case e aumentate quella passione che vi ha fatto raggiungere questi buoni risultati, serbate sempre il senso della riconoscenza verso il Principale che tutto vi ha dato senza chiedere che nulla o poco, ricordatevi che voi siete dei fortunati nella nostra regione, poiché rarissimi vi offrono quanto Lui tante facilitazioni a progredire, ad essere migliori; pensate a quanti vorrebbero essere al vostro posto; tenete sempre vivo il desiderio di apprendere e di elevarsi, garantirete il pane ai vostri figli e l’avvenire alla nostra Italia» (35).
Al termine della premiazione il folto pubblico, guidato dalla famiglia Giletti e dagli insegnanti della Scuola, si recò a visitare la piccola mostra allestita nell’aula maggiore per far conoscere i lavori, soprattutto disegni tecnici ed esempi di scampionature, eseguiti durante l’anno dagli operai-studenti. Da qui il gruppo passò poi «a visitare l’elegante locale della biblioteca e sala di lettura del Circolo Dopolavoro sempre della Ditta Anselmo Giletti, per la prima volta aperto al pubblico» (36).
Anche il progetto di dar vita ad una sala biblioteca ed emeroteca si era dunque realizzato. Tra le carte di Giuseppe Mello si trova il dattiloscritto intitolato “Regolamento per la Biblioteca circolante Anselmo Giletti”, con ogni probabilità redatto da lui stesso. Nei suoi 11 articoli stabilisce che il prestito gratuito dei libri fosse ad esclusivo beneficio del personale del lanificio, e il funzionamento venisse affidato ad una commissione di tre persone nominate dalla proprietà della ditta che dovevano provvedere agli acquisti, al corretto funzionamento del prestito e a garantire l’apertura (mercoledì e sabato dalle 13,30 alle 14,30). Al Regolamento è unito anche un purtroppo mutilo elenco dei libri posseduti e disponibili al prestito, suddiviso in due sezioni: “Libri di cultura professionale e commerciale” – tra cui testi di meccanica, tessitura, elettrotecnica, diritto commerciale, organizzazione del lavoro – e “Biblioteca romantica”, comprendente romanzi d’avventura e sentimentali (Alcott, Verne, De Amicis, Deledda, Salgari, Jolanda, Moretti, Fogazzaro, ecc.). La nuova sala di lettura era pure affidata alle cure del ragionier Mello, e metteva a disposizione dei frequentanti il Circolo Dopolavoro Giletti una serie piuttosto nutrita di giornali e riviste: «Illustrazione Italiana», «Rivista illustrata del Popolo d’Italia», «Lo sport fascista», «Le vie d’Italia», «Le vie d’Italia e dell’America Latina», «La Domenica del Corriere», «La Domenica dell’Agricoltore», «Bollettino del R.C.A.I.», «Tutti gli sport», «Montanina», «L’amico dei campi», «Bollettino Burgo», «L’Illustrazione fascista», «Gente nostra», «Il Popolo d’Italia», «La Gazzetta del Popolo», «Il Popolo Biellese» (37).
Sulla scorta dei gratificanti risultati precedenti, si riaprirono le iscrizioni per un nuovo anno che però iniziava sotto un cattivo auspicio, ossia il trasferimento del maestro Alcioni, entrato in ruolo e assegnato alle scuole elementari statali di Candelo, che venne percepito come una seria menomazione al buon funzionamento della scuola. Scriveva «Il Biellese»: «L’inaspettata partenza ha suscitato in tutti e particolarmente tra i numerosi soci del Circolo Dopolavoro Giletti, ove godeva viva stima e simpatia, il più sincero rincrescimento. Ottimo e diligente, carattere franco, aperto e gioviale, in un solo anno di residenza a Ponzone, aveva saputo acquistarsi benevolenza e fiducia. Come maestro, nella classe quinta e sesta della scuola interna Giletti, ottenne un esito veramente lusinghiero, con tutti gli allievi promossi agli esami di luglio. Fu pure apprezzato insegnante di coltura generale presso la locale scuola Professionale Operaia. Durante il periodo estivo organizzò gite ed escursioni e tenne la direzione di un campeggio sulle nostre Prealpi, promosso e finanziato dalla Cassa Mutua Interna fra gli operai della Ditta Giletti». Lo rimpiazzò il maestro Berruto, cossatese.
I contatti con altre scuole professionali che Mello aveva intrattenuto per tutto l’anno (38) e i nuovi ordinamenti emanati dal Ministero (39) contribuirono a definire nella mente del direttore un “Programma per l’anno scolastico 1929-1930” (40) parzialmente diverso da quello del primo e sperimentale anno precedente. Nel dettagliato piano di lavoro dattiloscritto che presentò al Consiglio direttivo delle scuole private “Anselmo Giletti”, Mello specificò innanzitutto che i corsi sarebbero stati ancora due, ma avrebbero perso la definizione precedente di “avviamento” e “perfezionamento” per assumere semplicemente i nomi di primo e secondo corso. Per il primo si prevedeva un corposo programma di cultura generale, comprendente italiano (grammatica di base, esercizi di dettatura, componimenti di carattere familiare o professionale, letture di classici italiani della religione), storia (dagli albori della civiltà alla guerra mondiale), geografia (l’Italia, l’Europa e gli altri continenti, con «particolare riferimento alle nostre colonie, alla nostra emigrazione ed al problema nazionale dell’importazione e dell’esportazione»), diritti e doveri (l’uomo nella famiglia, nella patria, nella scuola, elementi di legislazione fascista, le corporazioni, le leggi sul lavoro) e scienze (il corpo umano, l’igiene, l’alcoolismo, le malattie professionali, gli infortuni e l’assicurazione obbligatoria, minerali e rocce, le applicazioni dell’elettricità). Nelle ore di matematica si sarebbe trattato aritmetica (calcolo numerico, frazioni) e geometria (figure piane e figure solide, superfici e volumi, il sistema metrico decimale, le monete e il cambio). Il disegno sarebbe stato suddiviso in geometrico e ornato, e le lezioni di tessitura avrebbero trattato le fibre e le loro caratteristiche di lavorazione, l’armatura, il telaio, i diversi tipi di tessuto (tela, saia, raso), l’effetto spigato, i primi rudimenti di scampionatura. I frequentanti il secondo corso si sarebbero trovati ad affrontare in italiano esercitazioni di riassunto orale e scritto e di composizione su argomenti «che abbiano a stimolare l’orgoglio della razza, del lavoro, ecc.». Gli operai-studenti avrebbero poi conosciuto, attraverso letture commentate dall’insegnante, «la vita e le opere degli uomini più illustri nella poesia, nella letteratura e nell’arte». In matematica si sarebbe arricchita la preparazione in aritmetica (potenze, radici, rapporti, numeri complessi, nozioni di algebra) e geometria (proprietà dei triangoli e di altri poligoni, uguaglianze, regole di superficie, applicazioni di carattere professionale, il teorema di Pitagora). Nelle lezioni di disegno si sarebbe abbandonato l’ornato per dedicarsi interamente a quello geometrico e al disegno di macchine. Le discipline tecniche avrebbero conosciuto un deciso incremento: durante le ore di filatura sarebbero state affrontate la lana, la sfilacciatrice, la carda, il selfacting, la tecnologia della preparazione. In tessitura si sarebbero studiati i differenti tipi di tessuto (spigati, raggiati, combinati, ecc.), gli effetti di coloritura, lo jacquard, la tecnologia del telaio (elementi compositivi, diversi tipi di telaio) e la scampionatura. Il corposo programma di meccanica prevedeva di portare gli allievi a conoscere differenti tipi di moto, le forze, le leve, la carrucola, il filetto, il piano inclinato e ad affrontare almeno le nozioni generali in merito ad argomenti complessi come il lavoro meccanico, la potenza, la resistenza dei materiali. Il parco insegnanti si sarebbe in parte rinnovato, ma sarebbe stato costituito sempre da personale interno all’azienda chiamato ad un doppio lavoro. Detto della forzata sostituzione dell’insegnante di cultura generale e disegno ornato, venivano confermati lo stesso ragionier Mello (tessitura, scampionatura, tecnologia tessile) e gli ingegneri Giuseppe Pellò e Germinal Giraudi (meccanica). Ad essi si aggiungevano il ragionier Carlo Giraudi (italiano) e il perito Umberto Gigagli di Prato (filatura e disegno macchine).
Le lezioni ebbero inizio il 15 ottobre, con un numero di iscritti piuttosto alto, anche se al di sotto dell’anno precedente (41 per il primo corso e 52 per il secondo, per un totale di 93, compresi 10 allievi “uditori”) ma la frequenza calò drasticamente sin dai primi mesi e già allo scrutinio del 10 marzo 1930 gli abbandoni avevano ridotto il primo corso a 19 allievi e il secondo a 33. Un po’ a fatica, l’anno venne portato a termine con lo scrutinio e gli esami: del primo corso 13 vennero promossi e 6 rimandati ad ottobre, mentre dei 33 allievi del secondo corso 17 furono i promossi, 13 i rimandati e 3 non si presentarono agli esami (41).
Per chiudere in bellezza il travagliato anno scolastico l’azienda aveva comunque fatto un altro sforzo, portando oltre 70 partecipanti, accompagnati dal corpo insegnante al completo, a visitare le grandi centrali idroelettriche di Covalou e Maen in Valtournenche. Alle 5 del mattino di domenica 8 giugno, a bordo di due torpedoni della ditta Stupenengo di Coggiola e di diverse automobili messe a disposizione dal lanificio Giletti, i gitanti erano partiti per la Valle d’Aosta, dove avevano visitato i moderni impianti SIP e poi avevano trascorso una giornata di festa tra pranzi sui prati e visita al pittoresco paese.
Nella sua relazione estiva al Consiglio direttivo Giuseppe Mello spiegò così la difficile gestione dell’anno scolastico: «Il primo corso ha dato uno scarsa percentuale di allievi frequentanti che però era già stata prevista sin dall’inizio. La diversità è stata ancor più forte di quelli dello scorso anno, difatti abbiamo avuto gli allievi di 12 anni, di 20, di 30 e di 40 anni, tutte le posizioni sociali, tali lo scolaro di professione ed il capo […]; da qui la difficoltà nello svolgere un programma stabilito per essere alla portata di tutti in modo d’essere compresi senza essere pedanti. Il secondo corso, essendo più omogeneo come età e come grado di istruzione, si è mantenuto più compatto, tanto che si è potuto portarlo quasi al completo agli esami. Va però tenuto presente che hanno abbandonato la ditta per ragioni di lavoro o per leva militare 13 allievi […]. Le materie stabilite sul programma non si sono potute sviluppare interamente come era nostro desiderio per la penuria di ore d’insegnamento e per le ordinarie occupazioni del personale insegnante. […] Dopo le feste natalizie i corsi hanno potuto riprendere più regolari, però con nostro malincuore si è dovuto ridurre praticamente a 4 i giorni di scuola invece dei 6 dell’anno precedente». Un’ultima considerazione andava fatta nel valutare il “mezzo fallimento” dell’annata, o comunque il risultato meno brillante di quanto si sperasse: «Tutto il corpo insegnante, eccezion fatta per il Sig. Maestro, che restava fisso alla scuola, doveva accudire ugualmente ai lavori d’ufficio che li metteva nelle condizioni di trascurare la scuola da una parte, e certe volte l’ufficio dall’altra. Ciò va tenuto presente affinché si sia giusti nel valutare il sacrificio per la scuola, l’esito e il profitto di quest’anno di fronte a quello dell’anno scorso». Il direttore non poteva neppure omettere che sotto il profilo della condotta non tutto era andato liscio: «Alcune volte il secondo corso ha avuto elementi indisciplinati che però vennero segnalati con lo scadente voto in condotta» (42).
Ad autunno già inoltrato e con alcuni cambiamenti nell’organizzazione dei corsi che probabilmente tenevano in conto le criticità messe in luce dal direttore, il nuovo anno partì il giorno 5 novembre 1930. Pare di capire che, a fronte delle difficoltà evidenziatesi nel recente passato, la scelta si ponesse tra due alternative radicali: ridimensionare il tutto, riducendo corsi, orari e insegnanti, oppure rilanciare, ampliando l’offerta e scommettendo sulla capacità di far fronte ad un impegno organizzativo ed economico ancor maggiore. Fu quest’ultima la soluzione tentata. Le novità più sostanziose che vennero introdotte furono infatti l’estensione della possibilità di iscriversi a coloro che non erano dipendenti della ditta Giletti e l’introduzione di un terzo anno di corso che, annunciava il manifesto con cui era resa nota ai ponzonesi l’apertura del nuovo anno, «completerà le nozioni apprese nei corsi precedenti con lezioni teoriche e pratiche nelle materie già conosciute» (43). L’aggiunta di un corso aveva il significato di una rifinitura, dunque, o se si preferisce un approfondimento di nozioni e pratiche lavorative già affrontate nei primi due anni, con l’implicita convinzione che i diplomati dell’anno precedente avrebbero continuato a frequentare il nuovo livello.
Le materie erano invariate, e anche gli insegnanti erano quasi tutti gli stessi (oltre al direttore Mello, gli ingegneri Giuseppe Pellò e Germinal Giraudi e il ragionier Carlo Giraudi), in aggiunta al nuovo arrivato, il maestro Cesare Bisio. Si confermava tanto la distribuzione delle ore di lezione in tre fasce – ossia tarda mattinata, primo pomeriggio, tardo pomeriggio – per venire incontro alle necessità di chi «faceva l’orario» e di coloro invece che «facevano la giornata», quanto la possibilità per i frequentanti di avere una refezione calda a prezzi scontatissimi presso il Circolo Dopolavoro Giletti.
Con un significativo ritardo rispetto a quanto fatto in passato, la cerimonia di premiazione dei diplomati dell’anno scolastico 1929-1930 ebbe luogo solo il 17 gennaio 1931 nel salone del Teatro Giletti. La serata fu alquanto movimentata: si aprì con la proiezione di due pellicole documentario (la prima sulla lavorazione della juta e la seconda sulla recente trasvolata atlantica di Italo Balbo da Porto Natal a Rio de Janeiro), proseguì con la cerimonia di premiazione per poi concludersi con due altre pellicole deamicisiane (La piccola vedetta lombarda e Valor civile) e l’immancabile Comica finale. Durante il suo discorso il direttore Mello aveva come al solito riassunto quanto fatto nell’anno trascorso e parlando dei corsi in atto aveva insistito sull’importanza di aver aperto le iscrizioni a tutti e di aver portato a tre gli anni di corso. Ma condurre la Scuola rappresentava un onere e un impegno organizzativo non da poco: «È bene però qui tenere presente i sacrifici che questa scuola comporta sia morali che materiali e la tenacia con la quale cerca di affermarsi». Un malcelato senso di sconforto stava forse dietro al tentativo di spacciare per una miglioria ciò che era in realtà una necessità che impoveriva l’offerta formativa, ovvero la riduzione delle tre fasce orarie previste ad una sola: «Si è poi cercato di migliorarla portando l’orario d’insegnamento solamente di sera. Si è evitato una dispersione di energia ed un eccessivo lavoro da parte del personale insegnante che tanto si è prodigato e si prodiga oltre le sue occupazioni giornaliere, pur di far vivere ed affermare questa istituzione tanto nobile quanto utile e necessaria». Di segnali incoraggianti che testimoniavano l’apprezzamento per il ruolo della Scuola, all’opposto, continuavano a notarsi anche in quella serata di festa, considerato che tra i premi uno di ben 250 lire era stato offerto dall’Opera Pia Sella di Mosso (se l’erano aggiudicato, spartendolo a metà, Pietro Malinverni e Luigi Frigato del secondo corso) e l’altro veniva dall’illustre Vincenzo Ormezzano, che di tasca sua aveva garantito 50 lire, andate a premiare Marco Bonello e Romeo Seira del primo corso.
C’è da credere che il triplice, gravoso lavoro di Giuseppe Mello – l’ufficio, l’addestramento e le uscite operative con i pompieri, la direzione della Scuola professionale e l’insegnamento – costituisse un impegno sopportabile solo in presenza di importanti gratificazioni e soddisfazioni. E così si può pensare che proprio le crescenti difficoltà nel portare avanti l’esperienza dei corsi professionali, unite forse alle pressioni che riceveva dalla giovane fidanzata che avrebbe di lì a poco sposato, lo abbiano indotto ad accettare nel marzo di quel 1931 un’offerta di lavoro che lo avrebbe allontanato da Ponzone. Certamente egli ne aveva discusso preventivamente con il cavalier Giletti, ma per i “suoi” studenti e per i “suoi” pompieri la notizia calò inaspettata come un maglio. In un’improvvisata riunione serale, il 29 marzo Pietro Malinverni, allievo del terzo corso e dunque un veterano della scuola, lesse un commosso saluto a nome di tutti gli operai-studenti: «L’adunata di oggi, sorta spontanea nella nostra mente, vuol essere una piccola cosa, un’intima, una sincera dimostrazione della gratitudine degli allievi della Scuola Professionale Giletti al loro caro Professore, che lascia per motivi professionali Ponzone e con Ponzone la loro Scuola. Noi non ignoriamo che ella è stata uno di quei pochi che hanno insistito e fatto sì che anche quest’anno la Scuola professionale si riaprisse nuovamente, e continuasse le belle tradizioni degli anni precedenti, e noi tutti, di questo, le siamo infinitamente grati per aver avuto modo di aumentare le nostre cognizioni colturali. Sappiamo anche che per attendere puntuale alla scuola, non ha scansato i non pochi disagi e le molte fatiche derivanti dal giornaliero lavoro d’ufficio. Le sia però di piccola soddisfazione il sapere che noi abbiamo compreso il suo costante e disinteressato sacrificio. Permetta perciò, egregio Professore, che io a nome di tutti gli allievi presenti ed assenti, possa significarle tutto il nostro rincrescimento per la sua partenza da Ponzone, e nello stesso tempo ringraziarla di cuore di tutto quello che disinteressatamente ha sempre fatto per noi, beneaugurando per il suo avvenire» (44).
La partenza del ragionier Mello inferse un durissimo colpo alla scuola professionale, che ridusse l’impegno orario delle lezioni e, pur sopravvivendo sino al conflitto mondiale, limitò la sua azione a corsi serali che potevano essere frequentati anche singolarmente, senza l’obbligo per gli operai-studenti di seguire l’intero “pacchetto” di materie. Nello stesso decennio, e con la stessa modalità serale e facoltativa, furono organizzati dal lanificio dei corsi di Economia domestica rivolti al personale femminile, con materie quali taglio e cucito, igiene, cucina.
Ancora nel 1939 «Il Biellese» informava della visita fatta dal Segretario del Consorzio per l’Istruzione tecnica nella sera del 22 febbraio alla scuola di Ponzone. «La scuola è frequentata assiduamente da un numero cospicuo di operai, desiderosi di perfezionare la propria cultura professionale. Ma non soltanto persegue un’utilità pratica professionale, quella scuola, quanto una funzione spiccatamente educativa giacché gli insegnanti – che sono tecnici dell’azienda Giletti insieme con un maestro elementare – hanno organizzato i diversi corsi di istruzione tecnica in modo che ciascun corso abbia il riferimento in un corso principale obbligatorio per tutti gli allievi: il Corso di cultura fascista. […] I diversi corsi, che possono essere frequentati distintamente, sono i seguenti: 1) Preparazione, fibre tessili, miste carderie 2) Filatura e tecnologia dei filati 3) Orditura e tessitura 4) Tecnica del finissaggio 5) Corso di cultura generale 6) Corso pratico di computisteria 7) Corso di cultura fascista 8) Organizzazione del lavoro (elementi pratici per la calcolazione dei tempi di lavorazione, prevenzione infortuni, igiene del lavoro)» (45).
In mancanza di documentazione archivistica e bibliografica, c’è da ritenere che la guerra abbia posto il sigillo finale sull’iniziativa, certamente sostituita da forme di addestramento ed apprendistato professionale all’interno dei reparti ma definitivamente conclusa nella sua ispirazione iniziale.
NOTE
- «Il Popolo Biellese», 10 settembre 1928. Il giornale fascista non perdeva l’occasione per sottolineare quanto l’iniziativa fosse meritoria e “intrinsecamente” fascista. «Il Cav. Oreste Giletti, il fascista eletto, l’industriale moderno dalle lunghe vedute, il mecenate di tutte le opere buone e belle, ha in questi giorni data un’altra prova luminosa del suo grande affetto per le maestranze sue dipendenti colla prossima istituzione di una Scuola d’avviamento e perfezionamento al lavoro. […] Additiamo agli altri industriali biellesi e alle autorità la fascistissima e pratica iniziativa del camerata Cav. Oreste Giletti, e gli facciamo i nostri auguri fervidissimi e le nostre vive congratulazioni. Questo è operare per la grandezza, per la prosperità, per il potenziamento dell’economia italiana, che vuol dire grandezza e gloria della Patria».
- Sintetiche biografie di Anselmo e Oreste Giletti sono contenute in Vincenzo Ormezzano, Il Biellese e il suo sviluppo industriale, volume III: Trivero, valli del Ponzone e del Sessera con zona limitrofa, Testa – Unione tipografica valsesiana, Varallo Sesia, 1929, pp. XXXIII-XLVI.
- Documento a stampa a due facciate, senza titolo né data, firmato «Il vostro Principale Oreste Giletti», conservato nelle carte dell’archivio privato della famiglia Mello. È sulla base di tale documentazione, gentilmente messa a disposizione dalla signora Diomira Angela Mello, figlia di quel Giuseppe Mello di cui si parlerà a lungo, che si fonda prioritariamente il presente studio. Le carte non sono riordinate secondo regole archivistiche, ma raccolte in tre mazzi in base a criteri soggettivi. D’ora in poi, quando non verranno date indicazioni diverse, i vari documenti citati vanno considerati appartenenti a tale fondo.
- Ibidem.
- «Il Popolo Biellese», 10 settembre 1928.
- «Il Biellese», 7 settembre 1928, n. 72.
- Anche se non specificamente dedicato al tema dell’istruzione, lo straordinario affresco socio-culturale che Angelo Stefano Bessone ha tratteggiato attorno alla biografia di monsignor Losana rende perfettamente conto del proliferare a Biella e nel Biellese di iniziative, soprattutto di ambito clericale, per alfabetizzare i bambini e gli adulti (Angelo Stefano Bessone, Giovanni Pietro Losana (1793-1873), Fondazione Cassa di Risparmio di Biella, Biella, 2006).
- Per la storia e le attività della Scuola di arti e mestieri dalla sua fondazione al 1869 cfr. Raffaella Gobbo, La Società per l’avanzamento delle arti, dei mestieri e dell’agricoltura nella Provincia di Biella, in «Archivi e storia», rivista semestrale dell’Archivio di Stato di Vercelli e delle Sezioni di Biella e di Varallo, 1993, n. 9-10, pp. 83-113. Sulla nascita della Regia Scuola Professionale e sul ruolo avuto tanto da monsignor Losana che da Quintino Sella cfr. Angelo Stefano Bessone, Giovanni Pietro Losana (1793-1873), op. cit., pp. 254-262. Per comprendere in senso più ampio le convinzioni di Quintino Sella in materia di istruzione professionale si veda invece Guido Quazza, L’utopia di Quintino Sella: la politica della scienza, Comitato di Torino dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano, Torino, 1992, in particolare pp. 421-443. Un buon compendio sullo sviluppo dell’istruzione professionale tra XIX e XX secolo si ha in Luisella Campesan, “Robusta ma senza lusso”. La formazione tecnica e operaia nel Biellese tra fine Ottocento e primo Novecento attraverso testi e biblioteche, Tesi di laurea, Facoltà di Scienze della formazione, Università di Torino, a.a. 1999-2000.
- Prima ancora che entrassero in funzione ne dava conto Severino Pozzo in Cenni storici sugli istituti di educazione nel Biellese e racconti morali (Flecchia & Chiorino, Biella, 1863, p. 44): «Ora si sta provvedendo ad aprire quanto prima le scuole tecniche, a senso del generoso legato di lire 30.000 del fu Pietro Sella (1803-1862). Il governo fece plauso a sì nobile divisamento e la vallata di Mosso attende con impazienza l’istituzione di queste scuole, da cui spera molti vantaggi alla sua industria e al suo commercio».
- Sulla fondazione e la gestione delle Scuole Tecniche di Campiglia Cervo e di Rosazza si vedano gli studi di Gianni Valz Blin, Pioggia di soldi sull’istruzione in Alta Valle del Cervo, in «Rivista Biellese», anno 7, n° 3, luglio 2003, pp. 46-56 e Capimastri all’insegna di Sella e Cavour, in «Rivista Biellese», anno 9, n° 2, luglio 2005, pp. 57-66. Si può inoltre considerare Claudio Rosazza, Le Scuole Professionali di Rosazza, in «Rivista Biellese», anno III, n° 5, settembre-ottobre 1943, pp. 29-32.
- Cfr. Pier Carlo Mamino, Uno spazio di libertà. Associazionismo e politica nel Biellese tra ‘800 e ‘900, Centro di documentazione sindacale Camera del Lavoro di Biella, Biella, 2006, pp. 102-114 e Luisella Campesan, op. cit., pp. 110-135.
- Parole dette da Felice Piacenza in occasione della posa della prima pietra e dell’inaugurazione del Lanificio Scuola, Tipografia del «Risveglio», Trentano, Ramella & C., Biella, maggio 1910 – ottobre 1911, p. 4.
- Ivi, p. 5.
- Il Lanificio Scuola Felice Piacenza in Biella, Stamperia Silvestrelli e Cappelletto, Torino, 1911. Il progettista era l’architetto ing. Carlo Nigra e la direzione della scuola veniva affidata ad un Comitato, presieduto dal fondatore, che comprendeva un rappresentante del Comune (Corradino Sella), della Scuola Professionale (Carlo Maggia), degli industriali della Valsessera (Cesare Bozzalla), della Valle Cervo (Silvio Mosca), della Valle Mosso (Giovanni Prina), della Valle Elvo (Primo Sormano), delle maestranze operaie (il capo reparto Andrea Ogliaro).
- Ivi, p. 24.
- Albino Machetto, Lo sviluppo industriale e l’istruzione professionale nel Biellese, in Albino Botto (a cura di), Pietro Sella e le origini della grande industria italiana, Industria et Labor, Biella, 1925, p. 21.
- Ivi, p. 21.
- Lo Statuto è parzialmente riportato in Lelia Zangrossi, La scuola professionale operaia “Alberto Garbaccio” di Mosso, in «Studi e ricerche sul Biellese», Bollettino DocBi-Centro Studi Biellesi, Trigraf, Trivero, 2011, pp. 287-292.
- Per una sintetica storia della scuola cfr. Lelia Zangrossi, op. cit.. Un inquadramento completo delle istituzioni e delle iniziative scolastiche che, sin dal XVIII secolo, hanno fatto di Mosso un paese con una forte vocazione all’istruzione, si trova invece in Mosso S. Maria e le sue Scuole… una tradizione che continua, Comitato Amici della Scuola, Tipografia Tonso, Mosso Santa Maria, 1970.
- Sulla sua vita e sulla sua poliedrica personalità di industriale, giornalista, saggista, impresario culturale si veda quanto chi scrive ha pubblicato in Vincenzo Ormezzano, una figura da riscoprire, in «Studi e ricerche sul Biellese», Bollettino DocBi-Centro Studi Biellesi, Trigraf, Trivero, 2002, pp. 227-248.
- Il finanziamento iniziale fu garantito ad Ormezzano da un gruppo di amici imprenditori. Il primo comitato di redazione era composto da Romolo Buratti, Federico Carandini, Mario Delpiano, Ottavio Gramaglia, Secondo Manuello, Giovanni Ramella Levis, Antonio Schiapparelli, Giovanni Strobino, Oreste Zaia. Oltre che dalla durata ultraventennale, il successo della rivista è testimoniato anche dal numero degli abbonati che, andati crescendo nei primissimi anni, si stabilizzarono per un buon periodo sui 2.000.
- «L’Operaio», anno 1 (1920), n° 1, pp. 2-5.
- Cfr. L’Operaio giudicato dai lettori, opuscolo allegato al primo numero de «L’Operaio» del 1922.
- Cfr. Autobiografia inedita, conservata presso la Sella di Monteluce Foundation (fondo Emanuele Sella), Mosso. Si tratta di un dattiloscritto di 28 pagine con titolo “Vincenzo n° 53” con scritte di pugno dell’autore sui margini della prima pagina e sul retro dell’ultima.
- Ibidem.
- Dal 1919 Giovanni Strobino dirigeva la scuola professionale che il commendatore Antonio Bernocchi aveva fatto sorgere a Legnano e che in pochi anni aveva avuto una nuova sede, aveva accresciuto di molto il numero dei frequentanti, si era dotata di una ricca biblioteca tecnica specializzata e si era guadagnata la fama di scuola molto qualificata. Per la storia della scuola legnanese si veda La scuola professionale operaia “Antonio Bernocchi” dal 1919 al 1949, Soc. An. Proverbio, Legnano, 1949. Sulla figura di Giovanni Strobino cfr. Vincenzo Ormezzano, Biellesi contemporanei, fuori di provincia e d’Italia, degni di essere segnalati a titolo d’onore, Testa – Unione tipografica valsesiana, Varallo Sesia, 1930, pp. 8-9.
- La sua vicenda biografica è stata ricostruita da Mario Ercole Villa, Da tessitore a tenente colonnello. Un biellese nel Risorgimento, Daniele Piazza Editore, Torino, 2002.
- Sul corpo dei pompieri del lanificio, che diresse nei tre anni della sua permanenza a Ponzone, Giuseppe Mello ha conservato tra le sue carte numerose fotografie ritraenti il corpo in addestramento, il Regolamento del Corpo dei Pompieri della Ditta A. Giletti (Tipografia Cartotto e Boggio, Mosso, senza data, 11 pp. numerate), la lettera di ringraziamento della parrocchia al Corpo dei Pompieri per aver presenziato alla cerimonia di posa della prima pietra della nuova chiesa parrocchiale (15 giugno 1930) e alcuni fogli sparsi.
- «Il Biellese», 18 giugno 1929, n. 49.
- Manoscritto, cui è allegato il prospetto che riporta iscritti, promossi e bocciati per le classi della scuola elementare privata “A. Giletti” gestita dalle suore. La prima parte della relazione è opera del maestro Alcioni, al quale erano state affidate, oltre che l’insegnamento della cultura generale nei due corsi della scuola professionale, anche le classi delle “Scuole superiori”, ossia la quinta e la sesta. Nonostante la precaria preparazione iniziale dei bambini, provenienti da Soprana, Baltigati, Cerreie e Ponzone, il loro impegno, la loro tenacia, il buon rapporto instauratosi in classe e con le famiglie avevano prodotto il miracolo: «Alla fine gli alunni vennero presentati come privatisti a sostenere gli esami in una scuola pubblica dove funzionava una apposita commissione esaminatrice come risulta dai legalissimi attestati. Lo svolgimento di questi fu dei migliori nell’ordine, nella disposizione, nella spigliatezza e prontezza nel rispondere dimostrando di avere una buona preparazione. L’esito conferma la verità poiché la promozione fu generale».
- Il loro elenco manoscritto è allegato alla relazione: Carlo Ferraris, Mario Bianchetti, Carlo Bergamasco, Francesco Perrone, Aldo Mazzia, Guido Cerutti Michelet, Dante Loro, Giacomo Tonella, Pietro Carpanese, Renzo Loro.
- Tra le carte dell’archivio Mello è conservata la minuta manoscritta del discorso tenuto nel salone del Teatro Giletti il 28 novembre 1928, di cui «Il Biellese» (martedì 4 dicembre 1928, n. 97) diede conto la settimana successiva.
- Manifesto dell’agosto 1929, dal titolo “Lezioni di cultura popolare”, archivio Mello.
- Manifesto del settembre 1929, dal titolo “Chiusura dell’interessantissimo Corso di Cultura sui soccorsi d’urgenza”, archivio Mello.
- Manoscritto, archivio Mello.
- «Il Biellese», 27 settembre 1929, n. 86.
- “Ordinamento della sala di lettura”, dattiloscritto con annotazioni a matita, archivio Mello.
- In particolare, e ovviamente, Mello era in contatto assiduo con Giovanni Strobino, fondatore e direttore della scuola professionale di Legnano da cui lui stesso proveniva e alla quale si era ispirato per l’impostazione dei corsi a Ponzone. Per tutto il 1929 tra Strobino e Mello ci fu anche una fitta corrispondenza in merito alla ipotizzata pubblicazione di un testo sulla preparazione degli orditi curato dallo stesso Mello. Strobino mise in contatto l’amico con gli editori Hoepli, Vallardi e Lattes. Le trattative con gli editori, protrattesi per mesi, non portarono a nulla e il lavoro di Mello rimase in forma di dispense per i corsi da lui tenuti. Su richiesta e sollecitazione di Strobino fu anche inviato a Legnano, per essere utilizzato anche in quella scuola. Altri rapporti di collaborazione durante il primo anno scolastico sono documentati con la scuola professionale di tessitura di Varese, con l’istituto commerciale “E. Bona” di Biella (il cui direttore Albino Machetto venne in visita alla scuola di Ponzone unitamente a Giovanni Strobino domenica 5 maggio 1929) e con la scuola operaia professionale “A. Garbaccio” di Mosso Santa Maria.
- Tra le carte dell’archivio Mello è conservata copia della Circolare del R. Provveditorato agli studi del Piemonte, datata 20 aprile 1929. Con essa si comunicava che con l’anno scolastico 1929-1930 sarebbe entrata in vigore la nuova legge sulla scuola secondaria di avviamento al lavoro, in sostituzione dei corsi integrativi (le cosiddette sesta, settima e ottava classe) e delle scuole complementari. Essa avrebbe avuto durata triennale, vari indirizzi e sede nei centri dove già esistevano le scuole complementari. Nei centri minori, non in grado di istituire tali scuole triennali, la legge prevedeva che potessero sorgere corsi annuali o biennali di avviamento al lavoro, cui erano ammessi tutti coloro che avessero superato l’esame di quinta elementare. Chi avesse ottenuto la promozione alla classe terza di tali scuole acquisiva il diritto di concludere il ciclo per ottenere il diploma oppure poteva iscriversi al primo anno di Istituto Tecnico Agrario, Commerciale o Industriale della durata di quattro anni, con la prospettiva di ottenere un diploma professionale di secondo livello. A Biella si costituì immediatamente la scuola di avviamento al lavoro con i quattro indirizzi per meccanici, falegnami, tessili ed edili e una spiccata vocazione a preparare l’accesso all’Istituto Tecnico “Q. Sella” («Il Biellese», 23 settembre 1932, n° 77).
- Il “Programma per l’anno scolastico 1929-1930” è conservato in più copie, una manoscritta e svariate altre dattiloscritte, tra le carte dell’archivio Mello.
- Nel primo corso furono promossi Virgilio Benci, Italo Bertuzzi, Marco Bonello, Siro Cerreia, Pietro De Bona, Gino De Boni, Arnaldo Fila, Mario Gioria, Pietro Petucco, Paolo Preti, Giuseppe Radin, Romeo Seira, Severino Vedovelli, e rimandati Italo Fenzi, Giuseppe Meazza, Attilio Rodighiero, Aurelio Vellati, Florindo Vellati, Ugo Zignone. A conclusione del secondo corso furono diplomati a giugno Renzo Bonello, Quinto Cerruti, Luigi Frigato, Egidio Fuso, Giovanni Gambaro, Rino Gambaro, Bruno Giardino, Giovanni Loro Piana, Dario Malinverni, Giuseppe Malinverni, Pietro Malinverni, Osvaldo Pedrazzo, Mario Pera Mut, Giuseppe Preti, Giovanni Battista Ruspa, Dante Ubertalli, Silvio Barbero Mazzucca. Furono invece rimandati alla sessione autunnale Giovanni Bocca, Norberto Botto, Tranquillo Botto, Virgilio Broglia, Giuseppe Broglia Pilun, Fiorino Caldera, Gino Gandolfi, Giovanni Malinverni, Gildo Mino, Giacomo Pera, Armando Perrone, Giuseppe Platini, Pierino Vioglio.
- Il resoconto dell’andamento dei corsi è contenuto nel manoscritto intitolato “Relazione al Consiglio della Scuola”, non datato né firmato ma senza dubbio opera dello stesso Mello e databile tra luglio e inizio agosto 1930. Di circa un mese prima è la minuta di “Lettera alla Confederazione Generale Fascista dell’Industria Italiana”, scritta da Mello ad esami ancora in corso, quindi verso la metà di giugno, per illustrare i due anni di attività della Scuola. Vi si ritrovano i dati già riportati in altri documenti (numero dei corsi e degli iscritti, materie e orari, insegnanti, gite ed escursioni) e l’auspicio che la scuola possa «continuare negli anni a venire portando i promossi del secondo anno ad un terzo anno in cui si approfondiranno le materie già studiate».
- Manifesto dal titolo “Scuola professionale interna A. Giletti, Ponzone. Anno scolastico 1930-1931”, archivio Mello.
- Il testo del breve discorso è conservato tra le carte dell’archivio Mello, così come l’altra attestazione di affetto e di stima espressagli la sera prima, forse ad una riunione di addestramento dei pompieri, dal caporale pompiere Carlo Bozino: «Egregio Signor Comandante, abbiamo appreso con senso di vivo dispiacere che Ella lascia il Comando del Corpo Pompieri perché il suo dovere lo chiama altrove. La sua partenza ci addolora vieppiù perché dalla fondazione del Corpo a tutt’oggi abbiamo avuto agio di apprezzare profondamente le sue rare doti di Comandante e di Camerata, sia nelle istruzioni che nelle più gravi operazioni di spegnimento di incendi. Ella ha avuto la virtù di farci comprendere di quanta abnegazione e spirito altruistico deve essere dotato il Pompiere per portare veramente a buon fine il compito che si è volontariamente assunto. Questo, Signor Comandante, Ella ci ha dimostrato non solo colle parole ma coll’esempio e noi non lo dimenticheremo mai. Sappiamo che lascia l’attuale sua occupazione onde assumere un alto incarico fuori d’Italia. Siamo certi che Ella, nella sua nuova dimora e nel suo pure nuovo impiego, saprà tener alto più che mai il nome suo e quello della nostra cara Patria. È con questo augurio che sappiamo già certezza, che noi suoi Pompieri La salutiamo e ci permettiamo di offrirLe questo modesto ricordo, mentre riaffermiamo a Lei tutti i sensi della nostra maggiore stima».
- «Il Biellese», 28 febbraio 1939, n. 17.