Il Welfare nel Biellese. Assistenza, servizi e solidarietà dal Medioevo al XX secolo
- Il Welfare nel Biellese. Assistenza, servizi e solidarietà dal Medioevo al XX secolo
- Il welfare a Sordevolo
- Ambrosetti e Vercellone, benefattori sordevolesi
- Dal 1883 i Vercellone assicurano per gli infortuni sul lavoro
- Una sottoscrizione per le vittime di un incendio
- I libretti di risparmio postale agli operai di Sordevolo
- Serafino Vercellone e il sostegno alla Scuola Professionale
- I Vercellone e le SOMS di Sordevolo
- Il welfare a Sordevolo
- I documenti del welfare negli archivi del DocBi
- La Cooperativa di Trivero Fila e Giardino
- Filantropia ad ampio raggio dell’Unione Industriale Biellese
- Una biblioteca e una scuola professionale: il welfare secondo i Giletti di Ponzone
- Manifattura Lane di Borgosesia: l’assistenza ai lavoratori
- L’Ospizio degli Esposti di Biella: un archivio di solidarietà all’infanzia
- Welfare a Coggiola: il caso del Lanificio Fila
- Il Santuario di Oropa: accoglienza e beneficenza
- La filantropia di Alfonso La Marmora
- Maria Luisa Ferrero della Marmora e le artiere del Piazzo
- Camera del Lavoro di Biella: welfare non solo nel Biellese
- La FAO, il riso e la Camera di Commercio di Vercelli
- Welfare culturale: la Biblioteca Civica di Biella secondo Quintino Sella
- La Scuola Statale di Avviamento Professionale di Trivero: un esempio di welfare “misto”
Nell’aprile 1949 i Comitati direttivi nazionali di alcune associazioni democratiche promuovevano l’organizzazione di colonie estive per i figli dei lavoratori, esortando all’affidamento della gestione delle stesse a enti e strutture che si erano dimostrate affidabili a livello locale, con il preciso scopo di garantire il successo dell’iniziativa. L’urgenza con la quale veniva divulgata la comunicazione derivava dalla necessità di riprendere un ruolo nelle attività assistenziali per l’infanzia che nell’immediato dopo guerra era stato appannaggio delle organizzazioni religiose.
Con queste premesse nel 1949 la Camera del Lavoro di Biella individuava come soggetto di comprovata affidabilità la sezione di Savona dell’Unione Donne Italiane, proprietaria di una colonia nella cittadina ligure in corso Vittorio Veneto. La colonia “Emma Giribone” – intitolata alla partigiana Angela “Emma” Giribone, uccisa nel novembre 1944 – nel dopoguerra fu la prima sede dell’UDI che vi aprì un asilo per i bambini savonesi e in estate organizzò le colonie per i bambini delle regioni circostanti.
La convenzione sottoscritta dal segretario della Camera del Lavoro Carlo Ravetto fissava le condizioni per l’organizzazione della colonia marina per i figli dei lavoratori iscritti. Erano previsti fino a 200 partecipanti suddivisi in due turni: 100 bambine dal 1 al 30 luglio e 100 bambini dal 1 al 30 agosto.
L’ammissione era riservata ai bambini fra i 6 e gli 11 anni di età, “ritenuti bisognosi di cure marine, a giudizio medico”. L’UDI garantiva il servizio sanitario giornaliero con un medico del posto e una infermiera residente nella colonia, 1 “vigilante” ogni 20 bambini, i bagnini (di cui uno diplomato), il personale accessorio per tutti i servizi di lavanderia, pulizia, ecc., un vitto sano e abbondante. La Camera del Lavoro forniva la cartella medica di ciascun bambino affinché potesse essere completata con l’esito della cura marina da parte del medico locale. La retta di partecipazione era fissata in lire 500, interamente a carico della Camera del Lavoro, che aveva potuto sostenerla grazie dall’aumento delle quote camerali accettato di buon grado dai lavoratori.
Il menù comprendeva 70-100 gr. di carne, 100-150 di pesce, 100 di pasta nella pastasciutta e 50 nella minestra; la AAI Amministrazione per gli aiuti internazionali partecipava alla fornitura di viveri sufficienti a coprire quasi del tutto il fabbisogno per i due pasti: latte in polvere, zucchero, farina bianca, grassi, carne o pesce in scatola, legumi secchi, pasta, marmellata e formaggio.
Più nel dettaglio, il menù settimanale prevedeva a colazione caffè e latte oppure latte e cioccolata, pranzo minestra 4 volte a settimana, pastasciutta 3 volte a settimana, pietanza 4 volte carne e 3 volte pesce, frutta tutti i giorni, dolce 3 volte a settimana; merenda pane e marmellata e frutta; cena minestra e secondo piatto di verdura e uova, formaggio e frutta.
Contribuiva anche il Consorzio Agrario della provincia di Vercelli e il Birrificio Menabrea omaggiava la gassosa per il viaggio.
A tutti i partecipanti veniva consegnata una divisa composta di gonnellina con bretelle, camicetta e cappellino per le bambine e pantaloncini, camicetta e cappellini per i bambini, che la Camera del Lavoro aveva commissionato alla Cooperativa Femminile Lavoratrici Artigiane di Savona fornendo anche i tessuti. Le divise erano necessarie per le gite e le uscite di gruppo, mentre la famiglia doveva fornire altri indumenti e tutto il necessario; la visita ai bambini durante il soggiorno era vietata.
L’iniziativa era stata diffusa capillarmente attraverso le Commissioni interne delle fabbriche, tanto che le richieste superarono i posti disponibili.
La partenza dalla stazione di Biella era fissata per le ore 6.55 con vagoni riservati e la Camera del Lavoro aveva organizzato un servizio pullman che, partendo alle ore 4.00 da Crevacuore, sarebbe passato da tutti i paesi del Biellese orientale per facilitare il trasporto dei partecipanti a Biella.
Nulla era stato lasciato al caso, tanto che era stata prevista anche la documentazione fotografica della vacanza.
Giunti a Savona la giornata iniziava alle 7 e si apriva con le attività di cura della salute, ovvero mezz’ora di ginnastica e 20 minuti di cura elioterapica. Durante le ore successive si alternavano giochi, bagni in mare e momenti di riposo e lettura.
La colonia fu confermata anche per l’estate successiva, articolata nuovamente in due turni da 30 giorni ciascuno. Tra i partecipanti, 34 bambini rientravano nelle categorie che avevano diritto al rimborso da parte dell’Ufficio provinciale dell’assistenza post bellica che aveva «il compito di provvedere, promuovere, dirigere e coordinare l’assistenza morale e materiale dei partigiani, dei reduci di guerra, dei prigionieri di guerra, dei militari internati e delle loro famiglie, dei profughi e delle altre vittime civili della guerra, dei rimpatriati dall’estero» (art. 1 del decreto legislativo luogotenenziale 31 luglio 1945, n. 425).
Per molti bambini biellesi la colonia rappresentò la gioia per la scoperta del mare, ma anche i timori per la separazione dalla famiglia.
Nate nell’Ottocento come luoghi di cura per i bambini affetti da tubercolosi, le colonie assunsero durante il fascismo anche scopi educativi e propagandistici e conobbero una crescita significativa, con la costruzione di numerosi edifici monumentali. Nel secondo dopoguerra ebbero una nuova vita e alla funzione sanitaria si affiancò quella ricreativa, che diventò predominate fino alla fase di declino avvenuta alla fine degli anni ‘70.
Diverse furono le organizzazioni biellesi che promossero l’organizzazione di soggiorni presso le colonie, in autonomia o in collaborazione con altre istituzioni: dalla Colonia Alpina per fanciulli poveri, istituita nel 1892 a Camandona dalla Reale Società d’Igiene di Torino con la collaborazione del Club Alpino di Biella all’esperienza della Colonia Fra Dolcino e della “Pietro Micca” nel primo Novecento, fino a quelle promosse dall’Unione Industriale Biellese o singoli industriali, della Cassa di Risparmio di Biella e dalla Camera del Lavoro.