Il Welfare nel Biellese. Assistenza, servizi e solidarietà dal Medioevo al XX secolo
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- I Vercellone e le SOMS di Sordevolo
- Il welfare a Sordevolo
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- Una biblioteca e una scuola professionale: il welfare secondo i Giletti di Ponzone
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- L’Ospizio degli Esposti di Biella: un archivio di solidarietà all’infanzia
- Welfare a Coggiola: il caso del Lanificio Fila
- Il Santuario di Oropa: accoglienza e beneficenza
- La filantropia di Alfonso La Marmora
- Maria Luisa Ferrero della Marmora e le artiere del Piazzo
- Camera del Lavoro di Biella: welfare non solo nel Biellese
- La FAO, il riso e la Camera di Commercio di Vercelli
- Welfare culturale: la Biblioteca Civica di Biella secondo Quintino Sella
- La Scuola Statale di Avviamento Professionale di Trivero: un esempio di welfare “misto”
Le “acque” dei poveri
“Per essere brevi e mantenerci nei limiti prefissi a questo piccolo libro, noi abbiamo dovuto per ora sacrificare lo studio delle osservazioni di fatti particolari interessanti, dei quali è abbastanza ricca la raccolta dei nostri casi clinici. Questo studio noi lo intraprenderemo prossimamente, e lo offriremo al benigno lettore, nella fiducia di essere incoraggiati nei nostri deboli sforzi”.
Così il dottor Emilio Coda conclude il suo Compendio di idroterapia teorico-pratica ovvero guida all’uso curativo dell’acqua specialmente fredda ed applicata nelle malattie croniche del 1892. Se lo studio da “intraprendere prossimamente” ebbe esito effettivo, oppure se il progetto del medico rimase solo un’intenzione non ci è dato di sapere con assoluta certezza, ma allo stato attuale dell’arte non risultano nel panorama editoriale dell’epoca sue opere a questo riguardo. Ciò che invece è rimasta e che è stato possibile esaminare è tutta la documentazione archivistica che si è conservata, non degli stabilimenti di Cossila e Oropa Bagni, dove Coda lavorava in qualità di assistente quando scriveva il succitato volume, ma dello Stabilimento Idroterapico dell’Ospizio di Oropa[1], di cui fu direttore per tutta la durata dell’attività. Grazie alla sua meticolosità nell’annotare tutto quanto riguardava l’idroterapia praticata ad Oropa oggi possiamo proporre alcune considerazioni ed elaborazioni di tipo statistico sulle cure prescritte, sui risultati delle medesime, sulla tipologia dei malati e sulla loro provenienza geografica.
Lo stabilimento, attivo dal 1895, rimase in funzione fino al 1903. Definito l’ambito cronologico di riferimento, è in primis utile dar conto della “banca dati” generale da cui sono stati estrapolati i dati statistici. Gli anni presi dettagliatamente in esame sono sei, rispetto ai nove di attività dello stabilimento: 1895, 1898, 1899, 1900, 1901, 1902. Per il 1896 e 1897 non si è conservata la documentazione o i registri non vennero compilati. Per l’anno 1903 la rilevazione è meno puntuale rispetto a quella degli anni precedenti (nei registri non è ben chiara la distinzione fra coloro che vennero effettivamente curati e coloro che avevano solo presentato domanda di ammissione) quindi non è stata inclusa nel computo statistico, ritenendo comunque che, se dal punto di vita quantitativo (numero di malati curati) avrebbe potuto fornire numeri leggermente inferiori rispetto agli anni precedenti, dal punto di vista qualitativo (tipologia di malati, cure e luoghi di provenienza) anche il 1903 non si discosterebbe di molto dal passato. Del 1904 vi sono molte richieste di ammissione, ma la stagione non venne avviata e dunque non è compreso nei calcoli qui proposti.
Il primo rilevamento, in relazione ai sei anni documentati, attiene al numero complessivo dei pazienti accolti.
I malati curati sono in tutto 535, 213 uomini e 322 donne.
Calcolando una media di 90-100 pazienti all’anno possiamo stimare che in tutto vennero curate circa un migliaio di persone.
Indipendentemente dalla patologia da cui erano affetti, la maggioranza di essi ricavò dall’esperienza idroterapica di Oropa un miglioramento (259) e molti addirittura guarirono (182). Soltanto pochi (36) non ebbero alcun beneficio come annota il Coda, soprattutto per aver “interrotto la cura”. Una sola paziente, una nevrastenica di Portula nel 1899, in seguito a una paralisi bulbare, morì durante il soggiorno, per motivi non dipendenti dalla terapia cui venne sottoposta.
Ma qual era la tipologia di malati che si rivolgeva a Oropa? Trattandosi di uno stabilimento idroterapico dichiaratamente dedicato ai non abbienti è pleonastico soffermarci sull’estrazione sociale di coloro che lo frequentarono, perché per tutti è presente la dichiarazione di nullatenenza o di povertà rilasciata da Comuni di provenienza. Il quadro sociale appare quindi omogeneo. Dal punto di vista delle occupazioni e dei mestieri vi è, invece, maggiore eterogeneità, ma in tutti i casi si tratta di persone che lavoravano: artigiani, braccianti, carrettieri, sarti, casalinghe, talvolta qualche maestro elementare. Furono ammessi anche religiosi d’ambo i sessi. Anche l’età è variabile, dai bambini agli anziani. La provenienza geografica è prevalentemente biellese, anche se non mancano pazienti di luoghi più lontani come Asti, Bergamo, Milano, Pavia, Torino, la Valsesia, il Verbano il Vercellese. Spesso si ha la sensazione che, un po’ come per i processi migratori, un primo malato si recasse ad Oropa in un dato anno e poi, essendosi trovato bene, vi tornasse negli anni successivi, seguito da altri conterranei. Non si spiegherebbero altrimenti alcuni luoghi di provenienza remoti ripetuti a distanza cadenzata. La stessa considerazione potrebbe valere per alcuni gruppi di mestieri. In un certo ambiente lavorativo una persona otteneva l’accesso alle cure e l’anno seguente, tornando, veniva seguita da altri colleghi. Sarebbe in effetti strano, senza immaginare un certo “effetto domino” pensare che risultassero malate e bisognose di cura così tante persone provenienti proprio dallo stesso paese, oppure tutte impiegate presso lo stesso stabilimento industriale o bottega artigianale.
Provenienza
Alba 1, Asti 1, Bergamo 1, Bianzè 1, Biella 72, Biellese 370, Borgofranco d’Ivrea 7, Borgomanero 1, Borgosesia 2, Carmagnola 1, Cassano Magnago 1, Castellero d’Asti 1, Castelletto Villa 2, Cereje 1, Chiaverano 1, Desana 2, Frassinetto Monferrato 1, Gambolò 2, Lago Maggiore 1, Lodi 2, Loranzé 1, Magenta 1, Milano 8, Novara 3, Odalengo Piccolo (AL) 1, Pallanza 1, Pavia 1, Pertengo 3, S. Germano Canavese 1, S. Germano V.se 2, S. Giulio Canavese 1, Sala V.se 1, Saluggia 1, Saluzzo 3, Santhià 5, Torino 18, Trino 3, Tronzano V.se 2 Vercelli 1, Verrua Savoia 1, Vico Canavese 1, Vignale 1, Villafranca d’Asti 3, Villareggio 1.
Il fatto che le persone che si rivolgevano alla cura fossero indigenti o oltre le soglia della povertà poteva poi talvolta essere anche proprio il “male” da cui erano afflitte. E’ vero che la loro patologia doveva essere certificata da un medico, ma forse talvolta la nevrastenia o isteria, sicuramente acuite da un diffuso stato di malnutrizione, potevano addirittura risultare quasi secondarie, perché l’ammissione alla cura semplicemente “corroborante” che lo stabilimento di Oropa prevedeva, doveva essere per molti un miraggio. Infatti oltre all’idroterapia, a Oropa si respirava aria buona e, soprattutto, ci si concedeva il riposo e si riceveva una alimentazione bilanciata, non abbondante, ma completa. Il primo beneficio, naturalmente, era almeno quello di avere lo stomaco pieno. D’altronde il problema del cibo non era secondario nella cura idroterapica e la questione assume anche caratteri quasi sociologici. Scrive Coda, riferendosi però ai malati abbienti di Cossila e Oropa Bagni: “I soggetti che mangiano troppo sono esposti a procacciarsi una malattia di stomaco, che non hanno, o ad aggravare quella di cui soffrono. L’eccesso di alimentazione è una causa frequente di gastralgia, di dispepsie, di catarri gastrici, di turbe nervose diverse. Pertanto ed essi sarà necessario limitare e regolare il regime”. Dunque, ciò che per alcuni era vissuto come una limitazione del proprio regime alimentare, per altri era al contrario la possibilità di ottenere un nutrimento adeguato. Spesso, infatti, il dottore chiarisce che il miglioramento ottenuto rispetto alla patologia è “relativo”, mentre sono decisamente “migliorate le condizioni generali”.
Veniamo dunque alla tipologia dei malanni e alle cure proposte.
La malattia più rappresentata, con 150 casi, è la nevrastenia. Se aggiungiamo anche le nevrastenie con conseguenze gastriche, la melanconia, la lipemania (oggi diremmo depressione) e gli esaurimenti nervosi, saliamo a ben 210 casi, quindi a quasi il 50% del totale dei curati. Ma quale rimedio veniva proposto al nevrastenico? A quello considerato più grave (la nevrastenia viene anche qualificata con vari aggettivi: leggera, grave, cerebrale, e altri) una blanda abluzione temperata, a quello gastrico, oltre alle abluzioni, anche un regime dietetico appropriato, a tutti gli altri abluzioni temperate e fredde, bagni, docce, semicupi, oltre alla non meglio definita “cura climatica”, che consisteva nel respirare semplicemente l’aria salubre di Oropa nelle modalità prescritte dal medico. Non molto differente era la cura offerta agli isterici, o meglio alle isteriche, trattandosi prevalentemente di donne, con 69 casi totali. Coda tenta anche una spiegazione circa l’abbondanza di casi di nevrastenici e spiega che la malattia secondo lui è “prodotta dalla malagevole vita moderna in continua e faticosa lotta per l’esistenza. Sempre più diffusa sebbene raramente uccida attacca e travaglia per anni ed anni le sue vittime; se non vengono soccorse con opportune ed efficaci cure. Nel trattamento dei nevrastenici la cura idroterapica di Oropa col sussidio del regime appropriato, dell’aria eccellente e dell’ottima acqua ad uso interno ha dato buoni risultati se si considera che tali ammalati in generale ricorrono alla nostra cura solo quando sono già profondamente e da lungo tempo attaccati e travagliati dal male; se si considera che per guarire queste malattie croniche occorrono lunghissime cure che è necessario proseguire a domicilio dei pazienti e soventi ripetere nell’ospizio”.
Seguono in ordine di presenza gli affetti da problemi motori come i poliartritici, i malati reumatici, gli ischemici, i paraplegici, i paralizzati parziali o totali. Il programma terapeutico variava di poco, mentre i risultati dipendevano dalla gravità della malattia. Lo stesso dottor Coda nella relazione del 1900 afferma che per la nevrastenia e l’isterismo i risultati sono eccellenti mentre “nel trattamento delle altre malattie (…) si ottengono pure risultati soddisfacenti tenendo conto debito della natura e curabilità di esse”.
L’elenco delle malattie citate nei registri dello Stabilimento Idroterapico di Oropa sarebbe degno di uno studio di storia della medicina, perché fotografa le patologie di un’epoca, quella compresa tra la fine del secolo XIX e l’inizio XX anche se limitatamente a una data categoria sociale. I malati di qualunque genere giocavano la carta dell’idroterapia, sperando fosse la panacea di tutti i mali, ma il dottor Coda scrupolosamente annotava a fianco di ciascun caso le reali possibilità di recupero, scartando coloro che non avevano chance alcuna di ristabilirsi grazie ai rimedi offerti ad Oropa. Egli infatti era ben conscio che l’idroterapia fosse assai utile, ma non miracolosa. Vennero in quegli anni curati i malati di: anemia, cardiopatia (peraltro mai guarita), dermatite, dispepsia, enterite, epilessia (senza ottenere alcun risultato), mielastenia, rachitismo, catarro uterino, cloro anemia, còrea (recentemente classificata come Malattia di Huntington), intossicazione saturnina (o da piombo), asma bronchiale, ballo di San Vito (scientificamente noto come còrea di Sydenham, una sorta di encefalite), manie di persecuzione, marasma senile, morbo di Basedow (principale forma di ipertiroidismo), tabe dorsale (effetto della sifilide), vertigini, vomito e molte altre patologie. Le cure, mutatis mutandis, erano sempre le stesse: abluzioni, bagni freddi e temperati, docce (anche spinali), semicupi, immersioni e cura climatica. Una sola o una per volta, queste erano le prescrizioni mediche. Il dottor Coda precisava nelle sue relazioni che la cura doveva essere assolutamente proseguita a domicilio in modo autonomo da parte del paziente per portare ai risultati sperati.
Rimanendo in un contesto non “scientifico” questo excursus intende dare conto del fatto che l’idroterapia biellese non fu soltanto un fiorire di lussuosi stabilimenti in cui la privilegiata società del tempo viveva la propria Belle Epoque. A Oropa infatti, grazie a condizioni storiche che ne favorirono lo sviluppo, si concretizzò un’idea che si potrebbe definire come l’affermazione di un diritto alla salute. Molto del merito va riconosciuto al medico che si abnegò nel tentativo di realizzare il proprio progetto, affinché anche i poveri potessero “passare le acque”, non per diletto o desiderio di svago, ma nel tentativo di recuperare la salute perduta.
Per concludere, si propone una scelta di quelli che paiono essere i casi più curiosi o penosi, a partire sempre dall’analisi delle cartelle cliniche.
Da Lodi arriva a Oropa il 24 luglio 1895 un carpentiere di 41 anni. E’ il primo forestiero a usufruire del bagni del dottor Coda. La sua corporatura “fortissima” era “deperita assai” a causa dello “isterismo maschile grave” di cui soffriva da circa un anno. La sua anamnesi racconta di un grave shock che aveva patito. “Nel ’94 fu fortemente impressionato dallo spettacolo, della sala operatoria, nell’Ospedale di Lodi, dove subì un’operazione. Fu attaccato da tremito generale, durato 2 mesi senza tregua. Quindi fu sempre sofferente di bolo isterico, gruppo con senso di strozzamento alla gola. Da due a cinque accessi al giorno, della durata di 10-15 minuti. Accessi di oppressione e costrizione al torace, formicolio alle braccia, tremito e debolezza alle gambe, anoressia, dispepsia, coprostasi, insonnia, emaciazione”. Lo sottopongono a bagni e docce con acqua a temperature differenti. Dieta normale. Dimesso il 30 agosto “sensibilmente migliorato”. Lo stesso anno il dottor Coda prende in carico una tessitrice ventitreenne di Sordevolo. Di buona costituzione, soffriva di “gastralgia, bolo e chiodo isterico”. Si manifestavano “accessi diurni e notturni di tremiti e convulsioni, eccessi ricorrenti di isterismo di forma tonica”. Diagnosi: “isterismo, accertata ninfomania (furore uterino)”. La tengono senza cibo. Le praticano una “abluzione temperata con assistenza straordinaria per reprimere e contenere la mania quasi furiosa, mediante la camicia di forza”. Dopo due giorni la riconsegnano ai parenti. Senza toglierle la camicia di forza.
Il 1898 è ricco di casi particolari o particolarmente pietosi. L’operaio di Lodi, impaurito dalla sala operatoria, ritorna per ricevere un surplus di terapia o un richiamo e non è l’unico caso. Molti nominativi, infatti, si ritrovano nei registri in anni differenti e spesso nelle richieste accluse si legge come, avendo avuto risultati positivi, il malato presentasse con speranza una nuova candidatura. Oltre all’operaio lodigiano viene accolto un giovane uomo di 16 anni di cui Coda annota: “abbandonato dal padre emigrato in America, allevato con altri fanciulli dalla madre povera lavandaja male vestito ed insufficientemente nutrito soffrì estrema miseria. Da un anno sofferente a diverse riprese di reumatismo poliarticolare subacuto. Deperimento costituzionale“. Curato per un mese fino alla “ricostituzione organica” viene poi inviato all’ospedale di Biella a causa di un riscontrato tumore periarticolare. Una donna di 55 anni a causa di “patemi deprimenti” derivati dall’aver curato il marito gravemente malato si presenta con nevrastenia, lipemania e melanconia e viene dimessa migliorata. Al contrario una donna di 36 anni di Tronzano che nel post-partum aveva sviluppato lipemania, melanconia, ipocondria, lascia Oropa dopo soli due giorni a causa dell’inquietudine che l’assale. Di una tessitrice di Sala Biellese di 63 anni viene annotato: “Nel 1896 profondamente commossa dai tragici morti sovversivi del suo paese soffrì di gravi accessi di emicrania quotidiani“. Le cure ricevute all’ospedale di Biella e al San Giovanni di Torino avevano migliorato il suo stato di salute, ma si presenta ad Oropa a causa di una recidiva e viene dimessa nuovamente in fase di miglioramento. In quell’anno vi sono anche diversi malati con problemi afferenti alla sfera sessuale e non sono gli unici come si vedrà. Per un filatore di 31 anni di Trivero la diagnosi è “Abusi di Venere”. Si presenta per la seconda volta (era infatti già stato curato nel 1897) per dispepsia. Presenta: “priapismo, polluzioni, ed eretismo nervoso”. Tutto ciò lo porta al punto di dover sospendere il lavoro. Di buon carattere e diligente alla cura, verrà dimesso guarito grazie ad abluzioni temperate e fredde, bagni, docce e semicupi. Un uomo di Candelo di 27 anni si presenta con nevrastenia leggera. Soffre da anni di: “spermatorrea e conseguente deperimento delle forze“. Per conto suo tenta la cura ferruginosa, quella arsenicale e una idroterapia “casalinga” consistente niente meno che in abluzioni nel torrente. Ad Oropa nel 1897 viene curato con successo e così nel 1898 ritorna a causa di “debolezza diffusa” e viene dimesso guarito. Vengono poi anche ammessi alle cure una donna spaventata dall’aggressione di alcuni cani che le avevano lacerato le vesti, un uomo quasi cieco per una commozione cerebrale in seguito a una caduta da un calesse, che non ottiene risultato alcuno, un’anoressica con frequenti menorragie, che grazie al clima ottiene benefici e una donna colpita da un fulmine già curata negli anni precedenti senza grandi risultati.
Da segnalare che più volte nel corso degli anni il dottor Coda annota nell’anamnesi, probabilmente con una punta di orgoglio, che i pazienti avevano tentato di curarsi anche presso altri stabilimenti attivi in Italia, primo fra tutti Acqui Terme, ma senza successo e che dunque avevano scelto di rivolgersi ad Oropa.
Nel 1899 il caso più curioso è quello di una donna di Trivero di 22 anni dichiarata isterica e ben se ne comprende la ragione, visto che, oltre a soffrire di asma bronchiale, è perseguitata da un “singhiozzo pertinace”. La cura che le viene proposta è sicuramente molto innovativa ed in voga in quell’epoca: l’ipnotismo. E’ infatti da segnalare che tra il 1880 e il 1890 vi fu l’epoca d’oro di questa tecnica[2]. Nel 1889 a Parigi si era tenuto infatti il primo congresso internazionale sull’ipnotismo sperimentale e terapeutico, con la partecipazione anche di Sigmund Freud che, nel 1899, pubblicherà L’interpretazione dei sogni[3]. Tutto ciò a dimostrazione del fatto che le questioni legate alla mente e i metodi per guarire le nevrosi erano assai sentite in quegli anni. Fatto sta che, la cura ipnotica giova alla paziente che migliora e viene dimessa. Un “minusiere” di 27 anni emigrato a Lione soffre invece di: “nostalgia, anoressia, dispepsia, esaurimento, polluzioni notturne“. Nel 1898, curatosi ad Oropa, si ristabilisce, ma tornato a Lione ricade e così nel 1899 viene riammesso e sottoposto a: “abluzioni, bagni, semicupi e doccia spinale” ed ottiene il miglioramento sperato e di lui non si sa più nulla negli anni seguenti. Uno studente di 24 anni di Masserano a causa di un supposto “eccesso di lavoro” si ammala di una preoccupante serie di malattie se si pensa che avevano ritenuto potessero essere causate semplicemente da stress: “nevrastenia, cefalee, nevralgie facciali, depressione intellettuale e morale, tristezza, misantropia, paure morbose, rachialgie, nevralgie, stipsi, debolezza generale e profondo dimagrimento”. Il primo tentativo di cura viene adottato a casa ed è il “riposo, igiene e ferro”, ma non basta. Ad Oropa, grazie alle abluzioni, ottinene un risultato positivo. Sempre in quell’anno migliorano per via delle cure offerte: un tessitore di Pratrivero di anni 40, “sofferente da lungo tempo l’aria confinata di fabbrica” che lo ha reso anoressico e anemico, un maestro di Vallanzengo, che impressionato dalla vista di uno zio morto era divenuto “di poi sofferente di fenomeni nevrastenici, prurito al cuoio capilizzio, vertigini, leggiero indebolimento mentale, barcollamenti, tristezza, parestesie, algie, tremiti, insonnia, dispepsia, stipi” e un uomo di 77 anni del Favaro che, in seguito al patema derivante dalla morte della moglie, soffriva di tremito, cardiopalmo e “marasma senile”. Non guarisce, invece, una donna di Biella di 20 anni che era “affetta da accessi epilettiformi isterici” in seguito a “gravi e lunghe sofferenze morali e rovesci di fortuna“.
Il 1900 presenta un caso davvero drammatico, quello di una donna di 43 anni di Chiavazza dichiarata nevrastenica. L’esaurimento era stato causato da un già non felice periodo successivo al primo parto nel 1898. Nel 1899 all’ospedale Maria Vittoria di Torino viene ricoverata per un problema all’utero. Purtroppo il presunto tumore uterino si rivela essere un feto di tre mesi. La povera donna era incinta e l’intervento chirurgico le causa un aborto che aggrava, comprensibilmente, di molto la nevrastenia. La cura di Oropa parve darle giovamento.
Un uomo di Masserano di 30 anni “contrariato in un progetto di matrimonio, sofferente di fenomeni nevrastenici cerebrali, taciturnità, inquietudine, tristezza, misantropia, melanconia” invece non migliorò affatto e il tentativo di cura fallì, perché “lasciò l’ospizio, insalutato ospite mosso da ipocondria”. Viene di nuovo fatto ricorso all’ipnotismo per una operaia di 13 anni di Sordevolo, “da lungo tempo sofferente per sevizie subite in casa” e la poveretta sembra guarire dalla nevrastenia. E’ da segnalare l’ampio numero di casi di donne che soffrivano per problemi legati non solo alle difficili situazioni familiari, spesso sfocianti in vere e proprie sevizie, ma anche ai problemi legati al puerperio, sia alla depressione post-partum, sia alle conseguenze derivanti dall’allattamento a lungo protratto e al conseguente esaurimento delle forze, specialmente in situazioni di generale malnutrizione, come le madri e nutrici che si rivolgevano allo Stabilimento Idroterapico dell’Ospizio di Oropa. Altra motivazione della sofferenza femminile era il numero eccessivo di gravidanze. Nel 1901 viene curata una donna di Biella di 52 anni nevrastenica, ma ne aveva ben donde, visto che la poveretta in 16 anni aveva partorito ben 13 figli! Sempre in quell’anno gli effetti di un baliatico troppo intenso portano una donna di 26 anni di Chiavazza all’esaurimento.
Un seminarista di Biella di 23 anni si sottopone alla cura perché ipocondriaco, affetto da eccesso di erotismo e perdite seminali; dichiarato nevrastenico, ottiene beneficio dalla cura prestata e guarisce. In quell’anno vengono anche curati due bambini, uno di 10 anni per rachitismo e uno di 11 per enuresi notturna ed entrambi ricavano giovamento. Si presentano poi ben sei suore del Conservatorio del Suffragio di Torino, tutte nevrasteniche o isteriche, tranne la madre superiora “cloro-anemica”. La descrizione che il dottor Coda dà di queste donne (anoressiche, con problemi di dismenorrea, cardiopalmo e agitazione) fa pensare che il clima all’interno dell’istituto religioso non fosse dei migliori. Torneranno ad Oropa anche in seguito, sempre con buoni esiti.
Nel 1902 si presentano ad Oropa, uno scultore di 14 anni affetto da paralisi spinale e un ragazzo suo coetaneo sofferente fin dall’età di 4 anni per un’atrofia dell’arto inferiore sinistro. Per lui la cura oropense nulla può e stesso risultato si ha anche per una donna di 23 anni dichiarata “imbecille” e un ragazzo di 17 anni, originario di Camandona, affetto da nanismo, che si era già presentato l’anno precedente e “all’inizio della cura nel 1900 misurava metri 1,10 di altezza, pesava 21,4 calzato e vestito. Al principio della cura di quest’anno misurava mt. 1,15 di altezza e pesava kg 22,2 calzato e vestito”. Non potendo far nulla per l’altezza si tenta di ingrassarlo!
Peggiore è la sorte di una suora dell’ordine delle Rosine di 31 anni di Torino, “sofferente da tempo di eczema agli inguini” dovuto secondo la nota di Coda ad un “eccesso di lavoro mentale”. La poveretta è inoltre affetta da nevrastenia, melanconia e misantropia. Un quadro insomma tutt’altro che semplice! Purtroppo la cura non porta buoni frutti e, in occasione di una visita ad Occhieppo Superiore, dove era stata inviata con la madre superiora per sottoporsi alla cura climatica, “spinta irreversibilmente da lipemania”, si suicidò buttandosi giù dal ponte di Sordevolo, evidentemente già tristemente scelto per porre fine alla vita. Questa morte, seppur non avvenuta ad Oropa, è la seconda ed unica dopo quella già citata del 1899.
Chiudiamo questa triste carrellata per lo più con un caso un po’ più fortunato, pur nella sua tragicità. Molto ricca è la documentazione che i malati presentavano al fine di farsi ammettere alla cura e spesso accludevano anche delle vere e proprie “raccomandazioni”. La signorina Orsola, di anni 16, vanta una richiesta di tutto rispetto e cioè quella dei suoi datori di lavoro, i fratelli Piacenza, che nel maggio del 1902 scrivono al dottor Coda che la ragazza non era più in grado di lavorare a causa del suo isterismo, ma essi non avevano il cuore di licenziarla, vista la sua difficile situazione familiare. Famiglia che con lei non doveva essere stata tenera, visto che sul registro è annotato che l’isteria era dovuta a “maltrattamenti e oltraggi nel pudore subiti a casa”. Nell’ottica filantropica di inizio secolo, i Piacenza, oltre a sostenere la candidatura della loro operaia, propongono all’Amministrazione di Oropa di sostenere parte delle spese, purché la loro protetta possa ricevere un beneficio e tornare a lavorare e a mantenersi. L’offerta dei Piacenza venne quasi sicuramente accettata, anche perché i costi per il mantenimento della struttura idroterapica erano tutt’altro che irrisori e Coda spesso scriveva sollecitando denari per l’acquisto dei generi alimentari o altro materiale utile al funzionamento dei bagni.
Il 2 maggio 1903, quando già probabilmente era evidente che il futuro dello stabilimento non sarebbe stato garantibile facilmente, Coda scrive all’Amministrazione, accludendo le relazioni degli anni 1901 e 1902. Eliseo Maja e Camillo Guelpa gli avevano d’altronde comunicato l’intenzione di pubblicare sull’Eco del Santuario di Oropa i risultati delle cure, e il dottore entusiasticamente aveva accettato di farsi carico dell’elaborazione dei dati con queste parole “ io mi occuperei di fornire i relativi manoscritti non tanto per reclame occorrente alla nostra cura già più che sufficientemente fatto dagli stessi bagnanti che ne ritrassero salutari risultati, quanto per segnalare ai signori filantropi l’importanza ed utilità delle nostra idroterapia ed il bisogno di larghi mezzi per provvedervi”. Aveva già ben chiaro un progetto editoriale che avrebbe dovuto comprendere: “storia sommaria dell’impianto e sviluppo del nostro istituto idroterapico, storie delle malattie e cure praticate più notevoli, nel corso delle campagne notizie delle domande inoltrate delle ammissioni e delle cure praticate”.
Un’altra volta Coda si dichiara pronto a realizzare un’opera che di fatto non porterà a termine, perché nessuna traccia di tutto ciò che si propone di scrivere il 2 maggio 1903 si trova sull’Eco del Santuario di Oropa. E dunque, o proprio per la mancanza di partecipazione da parte dei filantropi biellesi che in quegli anni investivano i propri denari per il bene di tutti, o per decisioni dipendenti non solo da questioni economiche, nel 1904 lo stabilimento idroterapico di Oropa Santuario chiuse i battenti. Nell’archivio però si possono trovare anche per quell’anno numerose richieste di ammissione alle cure di poveretti che furono costretti a trovare soluzioni diverse per risolvere i problemi del loro non felice esistere.
[1] All’epoca di apertura dello stabilimento quello di Oropa non era più, sotto il profilo giuridico, un santuario, bensì un ospizio laico. Tornò ad essere il Santuario di Oropa solo nel 19.. (?).
[2] Cfr. Léon Chertok, L’ipnosi: teoria, pratica, tecnica, Ed. mediterranee, 2005, p. 22.
[3] Datandolo però 1900 per sottolineare il carattere epocale dell’opera.