Il Welfare nel Biellese. Assistenza, servizi e solidarietà dal Medioevo al XX secolo
- Il Welfare nel Biellese. Assistenza, servizi e solidarietà dal Medioevo al XX secolo
- Il welfare a Sordevolo
- Ambrosetti e Vercellone, benefattori sordevolesi
- Dal 1883 i Vercellone assicurano per gli infortuni sul lavoro
- Una sottoscrizione per le vittime di un incendio
- I libretti di risparmio postale agli operai di Sordevolo
- Serafino Vercellone e il sostegno alla Scuola Professionale
- I Vercellone e le SOMS di Sordevolo
- Il welfare a Sordevolo
- I documenti del welfare negli archivi del DocBi
- La Cooperativa di Trivero Fila e Giardino
- Filantropia ad ampio raggio dell’Unione Industriale Biellese
- Una biblioteca e una scuola professionale: il welfare secondo i Giletti di Ponzone
- Manifattura Lane di Borgosesia: l’assistenza ai lavoratori
- L’Ospizio degli Esposti di Biella: un archivio di solidarietà all’infanzia
- Welfare a Coggiola: il caso del Lanificio Fila
- Il Santuario di Oropa: accoglienza e beneficenza
- La filantropia di Alfonso La Marmora
- Maria Luisa Ferrero della Marmora e le artiere del Piazzo
- Camera del Lavoro di Biella: welfare non solo nel Biellese
- La FAO, il riso e la Camera di Commercio di Vercelli
- Welfare culturale: la Biblioteca Civica di Biella secondo Quintino Sella
- La Scuola Statale di Avviamento Professionale di Trivero: un esempio di welfare “misto”
Infanzia abbandonata a Biella tra Restaurazione e Unità d’Italia
La tesi di laurea della dottoressa Marina Coppe, discussa nell’anno accademico 2011/2012 presso l’Università degli Studi di Torino – Facoltà di Scienze Politiche, è un lavoro di ricerca di grande importanza per il tema del welfare nel Biellese e rappresenta uno strumento imprescindibile per ulteriori approfondimenti sul tema, unitamente alla tesi di laurea di Paola Cantoia, che si trova in questa stessa sezione (clicca qui).
Qui di seguito sono proposti l’introduzione della tesi e l’indice, mentre il testo integrale è consultabile, grazie alla gentile disponibilità dell’autrice e all’intervento di digitalizzazione della Biblioteca Civica di Biella (Maurizio Bavaro), a questo link (clicca qui).
L’abbandono infantile ha radici profonde nella storia dell’umanità, e solamente in epoche relativamente vicine alla nostra e di un avanzato grado di civiltà, si riscontrano le prime provvidenze in favore degli esposti. Presso gli antichi greci le esposizioni di infanti erano comunissime e perlopiù ammesse dalle consuetudini nel caso di figli illegittimi o di famiglie numerose, oppure dalle leggi, in caso di figli deformi. Ciò consentiva di disfarsi della prole abbandonandola in luoghi remoti e deserti. In questi casi, evidentemente, è molto sottile la differenza tra esposizione ed infanticidio in quanto la probabilità di sopravvivenza di queste creature era pressoché nulla. I primi esposti illustri della nostra storia furono sicuramente Romolo e Remo ai quali la leggenda attribuisce la fondazione di Roma (753 a. C.), essi poterono sopravvivere grazie ad una lupa che li avrebbe allattati.
In seguito, grazie al diffondersi del cristianesimo e ad una concezione della vita meno materialistica, l’esposizione degli infanti non venne più ammessa o praticata in luoghi deserti, allo scopo di sbarazzarsi di una vita umana, ma in luoghi frequentati, confidando nella carità del prossimo per l’allevamento del fanciullo eventualmente rinvenuto. E’ così che l’esposto viene ad assumere la denominazione di trovatello che fino ad oggi lo ha accompagnato.
Esposti furono dunque considerati quei bimbi nati da genitori non conosciuti, ed essendo stati abbandonati in luoghi pubblici venivano trovati e allevati da famiglie caritatevoli o nei brefotrofi. La fondazione del primo brefotrofio viene attribuita all’arciprete Dateo nel 787 in Milano, mentre sotto il pontefice Innocenzo III nel 1198 in Roma si usò per la prima volta la ruota. Questo sistema rappresentò per secoli, almeno nelle intenzioni, il miglior sistema per evitare ai miseri derelitti una sorte sicuramente peggiore. La ruota continuò a girare per secoli, muta testimone di innumerevoli tragedie che essa avallava con il proprio triste anonimato.
Fortunatamente ai nostri giorni, i casi di abbandono (atto peraltro penalmente rilevante), sono rarissimi, tanto da fare notizia. Le cause sono da ricercarsi nelle migliori condizioni di vita, nella più evoluta coscienza sociale, in una legislazione che tiene in considerazione anche le categorie più indifese e alla ricerca in campo medico-scientifico che con la contraccezione permette di evitare gravidanze indesiderate (1).
L’interesse per l’infanzia abbandonata, è nato nell’ormai lontano 1997 quando la mia direttrice Dott. Graziana Bolengo, mi ha proposto di far parte di un gruppo di ricercatrici per il Progetto Fumne. Progetto fortemente voluto dalla prima Presidente della provincia di Biella, la Dott.ssa Sivia Marsoni, che aveva un preciso obiettivo: aumentare e migliorare la conoscenza del mondo femminile biellese attraverso la sua storia. Il risultato delle ricerche ha portato alla pubblicazione del volume Fumne, Storie di donne
storie di Biella, edito dalla Provincia di Biella e più volte citato in questo elaborato. Il gruppo di ricerca di cui ho fatto parte, si è occupato di infanzia abbandonata nella prima parte del XIX secolo i cui documenti sono raccolti nel fondo I.P.A.I. conservato presso l’Archivio di Stato di Biella. Fin da subito mi sono sentita attratta da questa realtà di cui avevo solo sentito parlare. A mano a mano che sfogliavo i registri, i verbali e i vari documenti, mi rendevo conto di immergermi in una realtà fatta di infinita tristezza, miseria e… burocrazia! Tristezza per il modo in cui questi fanciulli venivano abbandonati quasi come fossero degli oggetti, di notte, al buio e al freddo, dentro un cesto pieno solo di foglie secche, tra i pericoli rappresentati da ubriachi, malintenzionati o animali randagi e affamati. La miseria traspare dalle poche cose che avevano con sé, una o due fasce, un cuffiotto, una copertina, ma più spesso pochi cenci logori o addirittura inservibili; anche il contenuto di alcuni biglietti lascia immaginare la pena di una mamma che affida alla sorte la sua creatura, o ancora, ma questo non è rilevabile dai documenti, le tragedie soffocate nel silenzio. Infine, la burocrazia imperava: il segretario, all’arrivo dell’esposto al Curio, lo iscriveva nel Registro delle Matricole con un numero progressivo, indicava la data e il luogo dell’esposizione o del ritrovamento, annotava quindi fedelmente le poche cose ritrovate insieme ad esso ed il contenuto del biglietto che eventualmente l’accompagnava e, se il fanciullo avrà la fortuna di sopravvivere, tutti i passaggi di balia. Riposto il Registro delle Matricole, veniva aperto quello delle Spese per il Baliatico, poi ancora quello dei Mandati di Pagamento. Non mancavano poi altri Registri per la contabilità, i bilanci, i verbali, i certificati, la corrispondenza. Personalmente mi sono concentrata sul periodo della Restaurazione: gli anni 1822-1826.
L’occasione per riprendere il lavoro interrotto, si è presentata nel momento in cui mi apprestavo ad affrontare la mia tesi di laurea. Ho valutato così la possibilità di continuare la ricerca estendendola ad un altro periodo significativo della nostra storia recente: l’Unità d’Italia. Il percorso non è stato esattamente in discesa, tanto per il considerevole aumento dei fanciulli esposti, tanto perché in ambito biellese il terreno era, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, praticamente inesplorato. L’interesse per l’argomento, nonostante qualche difficoltà, non è comunque mai venuto meno anzi è aumentato, e, nel congedarmi da questo lavoro, vorrei immaginarlo come un sassolino gettato in uno stagno… La ricerca ha indagato il fenomeno dell’infanzia abbandonata a Biella nel corso del XIX secolo. Essendo il periodo troppo vasto, sono stati presi in considerazione due periodi significativi: gli anni della Restaurazione e precisamente dal 1822 al 1826 e gli anni dell’Unità d’Italia e precisamente dal 18S9 al 1863. Periodi, per quanto non esaustivi, mi auguro possono offrire qualche buona indicazione sul fenomeno. Pur distanti tra loro di quasi un quarantennio, sono molti i punti in comune di questi due periodi. Innanzitutto la povertà della gente biellese, a causa di un territorio avaro di terreni coltivabili in quanto in gran parte montuoso, che le dominazioni straniere avevano ancor più impoverito e costretto all’emigrazione prima nei territori limitrofi, poi sempre più lontano fino a spingersi oltre Oceano. L’industrializzazione, anziché migliorare le condizioni di vita della popolazione, sembra addirittura averla peggiorata (le leggi sul lavoro arriveranno solo verso fine secolo).
Ciò nonostante, si continuava a fare figli sesso, rito al quale la donna non aveva evidentemente nessuna possibilità di sottrarsi, sembra vissuto come un antidoto alla disperazione), ancor più nel periodo dell’Unità d’Italia che in quello della Restaurazione. I figli venuti al mondo potevano rappresentare un’assicurazione sul futuro in quanto braccia da lavoro, e se la situazione economica della famiglia non poteva sopportare una bocca in più da sfamare, si poteva sempre ricorrere alla pubblica beneficenza con l’esposizione. Così l’Ospizio degli Esposti si trovò ad affrontare nel corso di tutto il XIX secolo, grandi difficoltà economiche che l’aumento delle esposizioni comportava a cominciare dalle sedi, che nel giro di pochi decenni diventavano inadatte allo scopo, alle balie, che a causa della bassa remunerazione, finivano per restituire i fanciulli all’Ospizio, obbligandolo a prendersene cura con vitto, vestiario e un minimo di istruzione, perché, ormai grandicelli, non vagabondassero oziando per la città provocando danni alla collettività. Le leggi, se da un lato sembravano voler tutelare l’infanzia abbandonata, dall’altra facevano mancare le risorse necessarie e punivano in modo esemplare ogni atto che rendesse pubblico lo stato di necessità.
Le fonti su cui è stata concentrata la ricetta sono conservate presso l’Archivio di Stato di Biella; l’Archivio I.P.A.I. (Istituto Provinciale per l’Assistenza all’Infanzia), l’Archivio Storico della Città di Biella, l’Archivio del Tribunale di Biella (Sentenze Penali) e la Biblioteca dell’Istituto. Sono inoltre stati consultati gli articoli, i testi e gli studi indicati in Bibliografia.
Ringraziamenti: giunta al termine di questo lavoro, desidero ringraziare le persone che lo hanno reso possibile: il professor Walter Crivellin, che mi ha guidata con competenza, professionalità e generosa disponibilità, la mia direttrice, Dott. Graziana Bolengo e le colleghe Rosetta e Chiara che hanno in tutti i modi agevolato la mia ricerca, mio marito Vincenzo per la sua presenza affettuosa e discreta durante i miei momenti di “isolamento”, i miei familiari tutti, il cui sostegno si è dimostrato un prezioso alleato in tutto il corso di studi.
(1) M. Coppe, Infanzia abbandonata a Biella nei secoli XVIII-XIX, in “Natività e Nascita. Arte Sacra, cultura e tradizioni nel territorio biellese”, a cura di D. Lebole, Grafiche Dessi, Riva presso Chieri 2003.
Capitolo I Storia e attività dell’Istituzione
Capitolo II Gli anni della Restaurazione
Capitolo III Gli anni dell’Unità d’Italia
Capitolo IV L’esposizione in cifre
Capitolo V I corredi e i biglietti
Capitolo VI Alcuni percorsi individuali
Capitolo VII Il viaggio nella vita di un fanciullo esposto
Appendice
Bibliografia